L’epistolario di Gottfried Benn è oggi un corpus assai consistente di diversi volumi, essenziale a seguire il divenire dell’intera opera poetica; vi dominano per numero, intensità e continuità del rapporto le lettere indirizzate dal 1932 al 1956 al colto industriale di Brema, Friedrich Wilhelm Oelze. Nel corso del tempo, naturalmente, hanno visto la luce varie altre raccolte di lettere, indirizzate a corrispondenti noti quali Ernst Jünger o Paul Hindemith, ma anche raccolte minori, talora molto esili, come ad esempio quelle, esilissime, a Margret Boveri o a Marie Diers (2003). Il libretto Arte monologica?, che Adelphi propone non a caso nella «Biblioteca minima» (pp. 85, € 7,00), va inserito proprio nella serie delle più piccole raccolte epistolari.
La singolarità di questo caso sta nel fatto che il carteggio è costituito di due sole lettere: la prima è una lettera aperta dello scrittore austriaco Alexander Lernet-Holenia a Benn, la seconda è la risposta di quest’ultimo, entrambe uscite nell’autunno del 1952 sulla Neue Zeitung. L’interesse di queste lettere fu evidentemente tale da giustificarne l’edizione separata già nel 1953, presso il Limes Verlag; lo stesso Benn, all’inizio scettico, alla fine non si oppose a quell’operazione editoriale e suggerì perfino il titolo Monologische Kunst-?,con punto interrogativo. Oggi questa edizione appare in italiano insieme al noto saggio benniano Nietzsche cinquant’anni dopo, del 1950, con le puntuali note e la postfazione di Amelia Valtolina.
Perché sono interessanti queste due lettere? Prima di tutto perché sono due lettere pubbliche e in quanto tali hanno una valenza oggettivamente diversa da comunicazioni private. Poi perché ci forniscono dati di rilievo biografico su un’amicizia molto asimmetrica e, soprattutto, perché toccano temi brucianti del momento storico. Basti pensare al panorama di rovine nella Germania del dopoguerra, alla condizione personale di Benn, alla sua iniziale compromissione con il nazismo, alla sua lunga emigrazione interna.
Era stato Lernet-Holenia a chiamare in causa Benn con una lettera aperta dopo che i due si erano reincontrati a distanza di dieci anni, e a rivolgersi con devozione altissima al grande poeta, riemerso con le Poesie statiche (1948) dalla doppia interdizione nazista e alleata. Sullo sfondo c’è la volontà del mittente di riprendere un discorso che si era interrotto a causa della stroncatura che lui stesso aveva fatto pochi mesi prima del dramma radiofonico benniano Die Stimme hinter dem Vorhang (La voce dietro al sipario). Con una notevole dose di sfrontatezza e di narcisismo Lernet-Holenia si spinge a paragonare il loro incontro a quello tra Dante e Brunetto Latini nel XV Canto dell’Inferno; e come il divino poeta, dice di aver provato la stessa venerazione e sorpresa davanti al maestro che gli è apparso, come di colpo, nell’inferno del presente.
In ogni caso, ciò che con questa lettera Lernet-Holenia vuol dire al suo maestro Benn è un invito ad abbandonare il genere saggistico e a concentrarsi su quello lirico perché solo su di esso si fonda la sua grandezza; ad aprirsi all’impegno civile e alla comunità, e insieme a uscire dalla solitudine e dall’isolamento nel quale era già sprofondato Nietzsche. Domande e inviti ben comprensibili in quel tempo di desolazione e di squallore.
Benn risponde con una lettera molto composta, nella quale ignora i veleni del suo recensore, ora divenuto adorante. Sa di essere letto e atteso da molti, ma alla richiesta di impegnarsi in un’ora così difficile per la Germania il poeta della tarda modernità sente di non poter andare oltre il bilancio già tracciato nel saggio Nietzsche cinquant’anni dopo, e a quello rimanda. Nello spazio della lettera, invece, lascia entrare accenti nuovi, forme e parole che portano i segni di un mutamento in atto, di un distacco dalle cose e di quella «malinconia cifrata» che domina tutto l’orizzonte delle sue ultime poesie. Parole che sembrano attutire gli aspetti più radicali della sua mistica della poesia assoluta e che forse spiegano il punto interrogativo del titolo. Parole che riguardano la poesia e il suo divenire, il suo rapporto con la storia, con la comunità e con il presente. Sappiamo bene che per Benn la poesia è assoluta, monologica, e senza destinatari; ebbene, in questa lettera leggiamo, e non ci pare uno scostamento da poco, che la poesia non è un fatto privato, ma universale, che è un ponte tra mondo interiore e mondo storico. Leggiamo che una dimensione comunitaria e storica precede l’atto creativo e che, anzi, «soltanto il collettivo umano elargisce quel poco di patrimonio individuale necessario a esprimere qualcosa e a conferire espressione ai fenomeni dell’odierno tipo antropologico». Leggiamo che la sedimentazione di un componimento poetico è lentissima, e che il poeta è colui che va incontro a una polla nascosta e latente, la fa sorgere dopo averla cercata tra mille sentieri.
La replica si chiude con l’invito a seguire ciascuno la propria strada e il proprio destino. «Cerca le tue parole (Suche deine Worte) e consegnale alla comunità» è un invito quasi testamentario, nel quale sta forse il senso più riposto di questo epistolario minimo, apparso senza clamore in un anno di persistenti lutti e rovine; nel quale risuona chiara l’eco di una sofferenza inespressa e certamente anche di un sentimento di colpa non confessabile.