Come ogni anno nei primi giorni di marzo, dal 3 al 5, si terranno le «due sessioni» (lianghui), tradizionale appuntamento «legislativo» di Pechino, con gli incontri dell’Assemblea nazionale e della Conferenza politica consultiva del popolo. Si tratta di quanto più simile a un parlamento esista in Cina, benché le «due sessioni» si occupino per lo più di ratificare quanto deciso dal Consiglio di Stato, dal governo e più specificamente dal Partito comunista cinese.

Quest’anno dovrà essere sancito l’avvio del nuovo piano quinquennale che dovrebbe porre le basi per la nuova normalità cinese: meno crescita, ma migliore, di qualità superiore al passato. Oltre ai tagli, si tratterà di migliorare le condizioni di vita della popolazione, vera e propria bussola della dirigenza cinese che ha l’obiettivo di raddoppiare il reddito pro capite della sua popolazione entro il 2020. Analogamente verranno stabiliti i budget per la difesa, per lo sviluppo del mercato interno e per la crescita generale del paese, che dovrebbe situarsi intorno al 7 per cento. Contrariamente a quanto accaduto nel passato, il vero protagonista della politica nazionale è però il leader Xi Jinping. Se in passato il Partito aveva accettato un tacito accordo in nome di una condivisione collegiale della guida, Xi Jinping ha impresso una marcia molto personalistica alla sua leadership.

E non pochi ne hanno fatto le spese. Si parla, non apertamente, ovvio, di un nuovo culto della personalità e una nuova rigidità della disciplina di Partito; entrambi elementi che parevano abbandonati da una dirigenza che pareva essersi ormai lanciata nella grande finanza e nel business internazionale.

Xi Jinping non ha certo fermato la dinamica economica del paese, perfettamente inserita nei gangli capitalistici internazionali, ma ha voluto segnare il proprio passaggio con un ritorno a una sorta di ortodossia ideologica sempre più netta. I tempi sono così diventati duri per gli avvocati che si occupano di diritti civili e per le ong; ma anche per i funzionari le cose sono cambiate.

La «frugalità» chiesta ai membri del Partito e la feroce campagna anticorruzione hanno portato a una generale situazione di tensione che pare favorire la leadership di Xi. Oltre al numero uno, infatti, sembra ormai esserci il vuoto totale; in silenzio appare anche quella «sinistra» messa all’angolo proprio dal ritorno del’ortodossia ideologica. Un esempio è arrivato nei giorni scorsi, come riportato dall’edizione cinese del Global Times, costola dell’ufficiale Quotidiano del Popolo. Xi Jinping ha invitato a studiare «un articolo dal suo predecessore Mao Zedong inviando un segnale forte ai membri del Partito, affinché onorino l’eredità del pensiero guida del Partito e rafforzino la costruzione di Comitati di Partito». In questi giorni riecheggia dunque il concetto di informazione come propaganda, tanto caro a Mao.

«È necessario che i mezzi di comunicazione ripristino la fiducia della popolazione nel Partito», era scritto in un editoriale del China Daily del primo marzo, dopo un tour che il presidente Xi ha svolto all’interno degli uffici delle agenzie di stampa del paese. A loro Xi Jinping ha chiesto «lealtà assoluta», specificando che «i mezzi di comunicazione della nazione sono essenziali per la stabilità politica». Il loro ruolo? «Amare e tutelare il Partito, e aderire alla sua direzione nel pensiero, nella politica e nell’azione».