Autore di culto per filmmaker sperimentali e per gli amanti dell’arte politicamente impegnata, Bruce Conner è una figura centrale e pioneristica nella controcultura della Bay Area negli anni ’50. Tra attivismo e analisi critica, Conner ha utilizzato più linguaggi nel suo lungo percorso creativo: sculture, assemblage, opere su tela, collage e installazioni filmiche realizzate principalmente con found-footage. Nato nel Kansas nel 1933 e morto a San Francisco nel 2008 — dove si era trasferito giovanissimo attratto dalla vitalità della città — si è occupato di molteplici aspetti della società americana: l’olocausto nucleare, la violenza, il razzismo, il consumismo. Immagini di guerra e di attacchi nucleari, di star hollywoodiane e di surfisti, montate in veloce successione e accompagnate dal poema sinfonico I pini di Roma di Ottorino Respighi danno vita ai 12 minuti di pura estasi visiva di A Movie (1958), una delle sue prime opere filmiche realizzate con materiale d’archivio.

Il montaggio frenetico delle immagini conduce in uno spazio entropico che termina con un sommozzatore che esplora i resti di una nave, forse una metafora della sua volontà di indagare le conseguenze delle azioni dell’uomo. La violenza presente nella società americana la ritroviamo nel film Report (1963-67) in cui assembla reportage televisivi dell’assassinio di Kennedy, ma il momento più drammatico, quello della morte del presidente, viene sostituito con un delirante collage di fotogrammi in bianco e nero. Con Breakaway (1966) Conner rende invece omaggio alla bellezza dell’attrice e cantante Toni Basil, che vediamo danzare e spogliarsi nonostante il montaggio frammentario e i tagli violenti alle immagini, che la rendono ancora più seducente e enigmatica. Ma è Crossroads (1976) il suo film più perturbante nella sua “atomica” bellezza. Un anno dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki l’esercito americano con l’Operazione Crossroads testa altri armamenti nucleari nell’Oceano Pacifico, divenuto un teatro di guerra simulata. Conner si appropria dei film found-footage girati dai 700 cameramen che hanno documentato la detonazione del test subacqueo intorno all’Atollo Bikini, uno degli eventi più fotografati della storia americana, trasmesso anche in diretta radiofonica. La potenza e l’orrore delle immagini sono contrastati dall’ipnotica colonna sonora di Terry Riley e Patrick Gleeson. Lo stesso spirito irriverente ed eretico, tra piacere estetico e orrore epistemico, lo troviamo nei suoi assemblage realizzati con materiali di scarto. Child è un’opera disturbante, un manichino di cera seduto su una carrozzina, ricoperto da una fitta rete di fili e calze di nylon.

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Realizzata in occasione della manifestazione per la difesa del condannato a morte Caryl Chessman, nel 1959, l’opera visualizza l’atrocità della pena capitale. A quel tempo suscitò scalpore e fu subito acquistata dall’architetto Philip Johnson per donarla al MoMA di New York, perché diventasse parte della collezione del museo. Couch (1964) nasce invece a sostegno alle proteste dei diritti civili in America. Un corpo informe e smembrato, composto di cera nera, urlante e adagiato su una chaise longue, mette in luce nella sua silenziosa implosione, il razzismo nei confronti dei neri e di altre minoranze etniche negli Stati Uniti. Questo è stato uno dei suoi ultimi assemblage. Sebbene avesse esposto a The Art of Assemblage al MoMA, Conner smise di realizzarli proprio nel momento in cui erano stati consacrati dalla critica ufficiale. Ma questo era tipico di Conner: mai prendersi troppo sul serio e reinventarsi sempre.

Nel corso degli anni ’80 e ’90 fotografa la scena punk di San Francisco per la fanzine Search and Destroy. Realizza film ispirati a brani di Brian Eno, David Byrne e Devo, mentre i Mandala Series, composti dalla ripetizione di macchie d’inchiostro, sono gli esiti di una pratica meditativa e ossessiva. Nei bellissimi e monumentali Angel realizza invece autoritratti senza l’ausilio della macchina fotografica. Questo, e molto altro, era Bruce Conner, un maestro del cinema sperimentale giunto persino a negare l’autorevolezza del suo lavoro. Alcune sue opere erano firmate Anonymous, altre con le sole impronte delle dita, altre ancora con il nome di Emily Feather o Dennis Hopper, con la complicità dell’amico attore che si era presentato all’inaugurazione della mostra come se fosse lui l’autore delle opere. Non ancora abbastanza conosciuto in Europa, è il Museo Reina Sofia di Madrid a rendergli omaggio con la personale Bruce Conner. It’s all True, che raccoglie oltre 250 opere e una decina di film. E’ l’ultima tappa di una mostra ospitata prima al MoMA di New York e poi al SFMoMA di San Francisco.