A parte i tagliagole prestati all’attivismo politico, per gli italiani martedì 17 o giovedì 19 settembre pari sono. Non per l’ufficio di presidenza della Giunta per le immunità del Senato, chiamata a fissare il calendario delle sedute in vista del voto sulla relazione Augello. Quella che propone di convalidare il seggio del condannato extralusso. Qualche commissario chiede al presidente Stefàno di fissare lui l’agenda, un modo sicuro per ritrovarsi un attimo dopo fucilato come non super partes. Stefàno, che non è nato ieri, dribbla la trappola: «Voi fissate la data del voto, e io mi occupo di spalmare le sedute in modo da concludere i lavori in tempo». Basta questo e frana la tregua, più finta che fragile, siglata martedì con i fucili del Colle spianati.

Il Pd non vuole votare oltre lunedì, il Pdl se la prenderebbe comoda e azzarda giovedì 26 settembre, il M5S chiede la maratona a oltranza. Nella caciara che inevitabilmente segue, il socialista Buemi, pur provenendo dalle file del centrosinistra, si schiera con la controparte e tanto s’infervora che abbandona la seduta accusando il Pd di volere il crollo del governo. Non fosse che dalla Giunta per le immunità non ci si può dimettere, darebbe volentieri l’addio. La collega Pezzopane, pd, lo rimbrotta severa. «Posizione kafkiana», s’infervora, senza peraltro giustificare la dotta citazione. Tra uno strepito e l’altro, al Pdl concede giovedì 19, ma ormai le cose sono andate troppo oltre per chiuderla in bellezza. Non è follia: è il segno di quanto la vicenda si sia caricata di una plusvalenza simbolica che rende questioni di principio anche i particolari.

A trovare una formula di mediazione proverà oggi, in apertura dei lavori della Giunta plenaria, il presidente. Se non ci riuscirà, si passerà al voto sul calendario. Probabilmente la conclusione arriverà martedì. Di certissimo non si andrà oltre la fine della prossima settimana. Prima i capigruppo in Giunta si esprimeranno sui ricorsi, doppiamente derubricati da “pregiudiziali” a “preliminari” e poi a semplici “note”. Nell’impossibile ipotesi di un’approvazione a maggioranza di uno o più ricorsi, tutto si congelerebbe. Altrimenti si procederà col voto sulla relazione Augello, anzi alla sua bocciatura. Di lì al voto finale dell’aula il tragitto sarà ancora lunghetto, non prima di ottobre. Ma il voto politico è quello sulla relazione Augello e per Silvio Berlusconi, che l’amico Vittorio Feltri descrive come un mentecatto fuori di testa, il momento in cui fermare la pallina che gira vorticosamente sarà quello. Accettare il duro verdetto, anticiparlo rassegnando le dimissioni, far saltare tutto e succeda quel che ha da succedere. Questo è il dilemma, e l’ora di risolverlo in un modo o nell’altro sta per scoccare.

Ieri impazzavano voci sulla silviesca decisione di levare spontaneamente le tende, in cambio di una garanzia contro ogni minaccia di arresto presente e futura. Qualcuno, prima o poi, dovrà avere il coraggio di spiegargli che gli “scudi stellari” esistono solo nei cartoni animati che fecero la fortuna delle reti Fininvest. Ma al Quirinale non se ne trovano.

Peraltro, ammesso che le voci non fossero pilotate ad arte e che alle dimissioni il quasi ex abbia pensato davvero, ha già cambiato idea. Ieri pomeriggio sbraitava, pronto di nuovo ad azzannare e dilaniare, deciso a sradicare il governo anche sobbarcandosi una fase di peraltro facile e lucrosa opposizione. Lo rivela, nemmeno troppo fra le righe, Angelino Alfano che, dal festival sanremese di Controcorrente, annuncia il ritorno in campo del capo: «Non si può zittire la sua voce. Comunque finisca, Berlusconi riuscirà a farsi sentire».

Cosa l’arrovellato deciderà alla fine, strattonato com’è da ogni lato, è impossibile prevederlo. In ballo non ci sono solo la sua sorte e quella del governo Letta. Intorno al letto del (politicamente) moribondo si sta svolgendo il congresso del Pdl. Se prevarrà Silvio il Pigolante, la squadra di governo avrà in mano il partito e cercherà di farne una nuova Dc. Se avrà la meglio Silvio il Ruggente, saranno i duri a gestire tutto, e faranno del Pdl una sorta di Forza Italia 2.0. Purissima e durissima. E Alfano? Di suo sarebbe democristianissimo. Ma se utile e opportuno non esiterà a sfoderare artigli che nemmeno Verdini e Danielona messi insieme.