Non sono stato delegato al XVII Congresso della cgil e considero questa mia esclusione una grave discriminazione, rispetto a tutti gli altri dirigenti nazionali, che come me sono responsabili di un’area tematica, anzi considerando che l’area tematica di cui sono responsabile è l’immigrazione, si tratta di una discriminazione multipla perché si aggiunge al fatto che, in questo Congresso, ancora più che in quello precedente, non c’è un’adeguata rappresentanza dei lavoratori e lavoratrici immigrati oltre ad una sottovalutazione del tema, anche nei documenti e nella discussione congressuale.

La motivazione che, a mezza bocca, mi è stata comunicata è che, nel congresso del centro confederale, avrei espresso una posizione critica e avrei votato alcuni emendamenti al documento della Camusso. Una motivazione assurda per un’organizzazione democratica quale è la Cgil e in palese contrasto con il regolamento congressuale che recita espressamente che i documenti sono emendabili, che non c’è nessun collegamento automatico fra sostenitori degli emendamenti e liste dei delegati, salvo la necessità di assicurare un «equilibrato rapporto fra delegati e votazione degli emendamenti proprio per garantire che opinioni diverse, anche se minoritarie, siano rappresentate».

Esattamente il contrario di ciò che è avvenuto nei miei confronti. Io ho semplicemente esercitato il mio diritto di espressione sia su alcuni degli emendamenti nazionali, sia presentando un mio emendamento, sul tema di cui mi occupo, approvato peraltro a larghissima maggioranza. Come si può sostenere che per essere delegato avrei dovuto soltanto ubbidire agli ordini? Come si può sostenere che la mia delega avrebbe compromesso l’equilibrato rapporto fra maggioranze e minoranze nella Cgil? Il mio giudizio è che si tratta di una decisione assolutamente arbitraria, arrogante. Andando a guardare i dati sull’esito delle votazioni scopro che l’emendamento sulle pensioni che io ho sostenuto, è stato votato da oltre il 40% dei voti espressi palesemente, l’emendamento sul reddito minimo è stato votato da oltre il 30%; quello sulla contrattazione altrettanto. Non si tratta, quindi di una questione personale, ma di una grande questione politica sulla quale sarebbe necessario aprire un confronto coraggioso. Alla crisi della politica e della nostra democrazia, non si può contrapporre un modello di democrazia «arcaica», sempre più rituale e formalistica.

Camusso ha presentato alcuni dati di questo congresso: 44.000 assemblee, oltre 1.700.000 votanti, 200.000 interventi, ma se pensa di leggere questi numeri unicamente nel 97,60% di consensi ottenuti dal gruppo dirigente, sbaglia sapendo di sbagliare, perché la realtà è fatta di tantissime posizioni critiche; gli stessi applausi che lei ha ricevuto nei congressi dei territori o delle categorie sono stati più convinti nei suoi passaggi autocritici, sulla vicenda delle pensioni, sui ritardi del sindacato rispetto al precariato ecc.

Per difendere la Cgil e il mondo del lavoro che vogliamo rappresentare, non serve chiudersi a riccio, o nascondere la polvere sotto i tappeti.

* responsabile Immigrazione Cgil-nazionale