Una posizione unitaria c’è, nel Pd, finché non si prendono decisioni. Quindi evitare accuratamente di prenderne, finché è possibile. È la sintesi della riunione di ’caminetto’ del Pd che ieri al Nazareno doveva preparare per l’assemblea di sabato una posizione unitaria per lo spappolato gruppo dirigente democratico, almeno per evitare l’ennesima messa in onda delle divisioni interne. La riunione è chiusa da Bersani con una formula che non scioglie i nodi cruciali: l’assemblea eleggerà un nuovo leader del Pd e fisserà la data del congresso. Con l’invito a «costruire la massima condivisione» sul nuovo segretario. Ma un nome condiviso, per l’ora e per il dopo, non c’è, né poco né tanto. E il coordinamento ha dato mandato ai vicepresidenti dell’assemblea Marina Sereni e Ivan Scalfarotto, ai capigruppo Luigi Zanda e Roberto Speranza, e al coordinatore dei segretari regionali, Enzo Amendola, di guidare l’assemblea di sabato e cercare un nome condiviso per la segreteria del partito da proporre all’assemblea.

La giornata era iniziata con un colloquio fra l’ex segretario e il sindaco di Firenze Matteo Renzi, venuto a Roma per l’assemblea dell’associazione dei comuni – aspirava alla presidenza, ma ci sta ripensando, ieri intanto è stato eletto un reggente, Alessandro Cattaneo, giovane sindaco di Pavia, Pdl -. I due si sono parlati: Bersani, infastidito dalle notizie che lo danno attivissimo nella scelta del successore, chiarisce che non tocca a lui proporre soluzioni per sabato.

E così alla riunione si limita a istruire la pratica dell’assemblea nazionale: spingendo però per anticipare il congresso a prima dell’estate, invece che aspettare la scadenza naturale di ottobre. Ma stando attenti a non minare la strada già complicata del governo Letta («il senso di responsabilità e compostezza non può essere affidato soltanto a qualcuno»). Per il nuovo segretario, spiega, ci sono due vie: «La prima è che si raccolgono le firme per la presentazione delle candidature; la seconda è che dopo la discussione di stasera (ieri, ndr si incaricano 3-4 persone di raccogliere elementi e di presentare una proposta in assemblea». Bersani consiglia la prima.

E così subito dopo il candidatissimo Gianni Cuperlo, sostenuto dai dalemiani, dai giovani turchi e dalle altre anime della sinistra del partito, si mette «a disposizione». Ma il segretario, ammette anche lui, «deve raccogliere il consenso più largo». Che al momento lui non ha.

Anche perché un altro nodo cruciale è la modifica allo statuto veltroniano che permetta di eleggere un leader che non sia automaticamente il candidato premier. Le ragione sono evidenti: il prossimo candidato premier, nel senso comune del Pd, è Matteo Renzi. Che però non intende infilarsi nelle beghe di una segreteria di un partito ad alto tasso di rissosità. Ma soprattutto la coincidenza leader-premier mette fatalmente a rischio la tenuta del governo: nel Pd è già successo nel 2007, con Prodi premier e Veltroni segretario, sappiamo com’è andata a finire. Tanto più che i giovani turchi, anche quelli impegnati nelle responsabilità dell’esecutivo, spingono per un Pd leale ma «autonomo»: con tutte le conseguenze del caso. Per la modifica si schiera Peppe Fioroni, contro Rosy Bindi, Enrico Morando e Maurizio Migliavacca.

E poi c’è il rebus immediato ’segretario o reggente’. Dario Franceschini ha chiesto il rispetto dello statuto, che non prevede reggenze (lo sa bene lui, eletto segretario nel 2008 dall’assemblea, subito dopo le dimissioni di Veltroni): «Occorre un segretario già sabato», non attraverso «una conta ma una scelta politica». Pippo Civati, omaggiato da un sondaggio del giornale Europa come miglior segretario Pd, la pensa all’opposto: «Chiedo che il reggente sia reggente e non si candidi alla segreteria al congresso. La candidatura che mi ha convinto di più è quella di Castagnetti, che mi sembra uno dei pochi dirigenti del centrosinistra davvero super partes».
«L’assemblea di sabato sarà difficile da gestire, ma si può farlo con una proposta forte e ampiamente condivisa», spiega Fioroni. Sempreché arrivi. Intanto Renzi ieri sera è rientrato a Firenze ma non ha visto Massimo D’Alema, come in un primo momento era circolato. L’occasione era la cena di gala a palazzo Vecchio per la conferenza internazionale «The State of the Union», dove D’Alema era presente, unico italiano, in qualità di presidente di Italianieuropei. Renzi non ha fatto in tempo ad arrivare. Incontro rimandato a oggi. D’Alema naturalmente esclude che parleranno di Pd. Quanto al Pd, lui augura «successo e una soluzione unitaria per il rilancio del partito». Sul suo candidato, preferibilmente.