È diventato praticamente un rito mattutino per gli americani seguire via Twitter le esternazioni  dell’umorale  miliardario che si appresta a sedere nella Casa bianca. Negli ultimi messaggi del bollettino Trump, spesso redatto a notte fonda, c’è stata la fosca minaccia ai contestatori  («un anno di galera o perdita della cittadinanza a chi brucia la bandiera americana!») e un commento su Abdul Razak Ali Artan, attentatore della Ohio State University  che lunedì  ha fatto undici feriti («un rifugiato somalo che non avrebbe dovuto essere nel paese»).

IERI MATTINA ALL’ALBA Trump ha dedicato un’altra scarica di tweet alla spinosa questione del conflitto di interessi. I tentacolari affari commerciali del neo presidente promettono uno scenario inedito a questo riguardo e hanno suscitato  la preoccupazione di un numero crescente di esperti legali. Ieri sul social network Trump ha annunciato una «importante conferenza stampa per il 15 dicembre» in cui discuterà l’intenzione di «lasciare volontariamente e completamente la mia grande azienda» per dedicarsi in toto a «rendere nuovamente grande l’America» .

Pur «non essendo tenuto farlo» ha aggiunto il twittatore in capo, «sento che come presidente è importante non avere conflitti di interesse». Una manciata di caratteri per «risolvere» una questione che  ha confuso fior di costituzionalisti nel caratteristico stile sbrigativo di Trump che sempre sul proprio canale social ha annunciato l’accordo che siglerà oggi con la Carrier corporation. La produttrice di condizionatori e caldaie aveva annunciato la chiusura di un impianto in Indiana per spostare al produzione in Messico.
La società era diventata argomento fisso per Trump che in campagna elettorale aveva promesso di impedirlo, se necessario, con mega tariffe sull’importazione degli impianti. Il dietrofront della Carrier è stato ottenuto con la promessa di agevolazioni fiscali e in tutta probabilità dalla pressione sulla casa madre della società, la United Technology, che detiene appalti militari per oltre 5 miliardi di dollari col governo federale.

UNA MOSSA DEMAGOGICA che oggettivamente costituisce per Trump un innegabile successo populista. Intanto sono proseguite le nomine di governo. Le ultime alla sanità con Tom Price, un falco anti-Obama che ha speso gli ultimi sei anni nel tentativo di abrogare la riforma sanitaria del presidente uscente. Con Price è virtualmente assicurato il ritorno al precedente sistema di libero mercato della salute. Analoga situazione alla pubblica istruzione dove il prossimo ministro è Betsy DeVos, una miliardaria integralista cristiana e antisindacalista che per l’educazione pubblica teorizza l’ottimizzazione e attraverso la concorrenza di mercato con le scuole private. Due precise indicazioni che per i servizi pubblici sotto Trump si profila un ritorno al reaganismo che ebbe negli anni ottanta effetti sociali disastrosi.

ULTERIORE CONFERMA si  è avuta con l’ultima nomina: di Steven Mnuchin al Tesoro. Mnuchin è una figura che racchiude sia il liberismo vecchio stampo che il capitalismo «trumpista». Ex broker di Wall street è un dirigente Goldman Sachs di seconda  generazione che nella famigerata azienda finanziaria ha seguito la carriera del padre. Espressione delle élite più blasonate della East Coast, ha lasciato la finanza di New York per trasferirsi a Hollywood costruendo una florida attività di finanziatore cinematografico (fra i successi Mad Max Fury Road e Suicide Squad; fra i suoi fallimenti si annovera la bancarotta della casa di produzione Relativity). A Hollywood è stato partner di Steven Bannon – il luminare Alt Right di Breitbart News nominato braccio destro da Trump.

ENTRAMBI SONO STATI soci di Brett Ratner regista di kolossal d’azione nazionalpopolari  e noto per i festini in stile bunga bunga nelle ville di Hollywood. In sostanza un polo trumpista sotto le palme che si trova ora nella stanza dei bottoni. Mnuchin ha anticipato politiche di incentivi al mercato a base di forti sgravi fiscali a favore delle aziende. Sotto l’egida Goldman Sachs, una riedizione del trickle down reaganiano con mire di smantellare le ultime vestigia del welfare state.