È «all’italiana», forse è anche un po’ una commedia. La legge sul conflitto di interessi che la camera ha approvato ieri sera – in prima lettura – serve al governo a raccontare di un nuovo passo in avanti «atteso da vent’anni» (la legge Frattini che si intende abolire è in realtà vecchia di dodici). Ma difficilmente la legge andrà avanti così, in questa versione che le opposizioni di Sinistra italiana e Movimento 5 Stelle giudicano troppo blanda, e che al contrario un pezzo decisivo della maggioranza vecchia e nuova non ha votato per la ragione opposta. Come Forza Italia.
In una camera deserta, con il numero legale appena garantito, ha marcato visita l’ottanta percento dei deputati centristi, malgrado uno dei principali sponsor della legge sia il deputato di Scelta civica Mazziotti (presidente della prima commissione). Assenti o contrari anche tutti gli onorevoli verdiniani: senza i loro voti la legge al senato non farà un passo. L’ipotesi più probabile è che venga dimenticata in commissione. Altrimenti dovrebbe essere indebolita, ancora un po’.

«Un blind trust all’italiana» è la definizione che ne ha dato il relatore, Francesco Sanna del Pd. Il blind trust nel senso americano del fondo cieco che gestisce il ricavato della vendita obbligatoria dei beni di chi vuole governare essendo in potenziale conflitto di interessi, in realtà, non c’è affatto. Al suo posto un contratto di «gestione fiduciaria» tra il politico e una banca o una società di intermediazione mobiliare scelta dall’Antitrust. Che riferisce periodicamente all’interessato sull’andamento dei suoi affari, può essere sostituito a richiesta e persino stacca una quota dei dividendi o degli altri guadagni (ogni sei mesi). La vendita delle azioni o dei beni immobili è prevista solo in casi estremi.
La legge stabilisce che il conflitto di interessi può darsi nel caso in cui i titolari della carica di governo siano titolari di partecipazioni rilevanti nei settori della difesa e del credito, oppure nei settori delle comunicazioni, editoria, pubblicità, opere pubbliche, servizi in concessione ed energia, ma solo se la partecipazione è riferita a un’impresa di rilevanza nazionale (nel testo uscito dalla commissione, era coperta anche le partecipazione in imprese che si occupano di energia di dimensioni locali). I componenti del governo, e con loro anche i consiglieri di undici Autorità di garanzia, dovranno presentare all’Antitrust una dichiarazione riassuntiva di tutte la cariche (anche cessate nell’ultimo anno) in potenziale conflitto di interessi, più tutti i dati patrimoniali e reddituali e i contratti stipulati per «assumere un’impiego e un’attività dopo la cessazione della carica»; lo stesso dovranno fare i coniugi e i parenti entro il secondo grado.

Sul presidente del Consiglio, sui ministri e sottosegretari in potenziale conflitto di interessi grava un obbligo di astensione dalle decisioni: in caso di dubbio è possibile chiedere un parere all’Antitrust – è stata però introdotta la regola del silenzio assenso. In caso di mancata astensione, l’atto non è immediatamente annullabile: la decisione è affidata allo stesso Consiglio dei ministri. Per i parlamentari è prevista solo una regola di ineleggibilità – sulla quale però continueranno necessariamente a giudicare (a maggioranza) la giunta e l’aula del parlamento. Lo stesso vale per i consiglieri regionali, mentre per i governatori e le loro giunte si chiede alle regioni di adeguarsi alla nuova normativa.
La legge è stata approvata dall’aula di Montecitorio con 312 voti favorevoli, avrebbero dovuto essere oltre 400. Dopo il voto, i grillini hanno tirato fuori cartellini rossi e fischietti. Nel semivuoto dell’aula si è sentita l’eco.