I greci chiamavano la guerra polemos, che per Eraclito era padre di tutto. Ma utilizzavano anche un altro termine, stasis, quando il conflitto avveniva all’interno della polis, spezzando l’unità della comunità politica. Platone, tuttavia, invitava a riformulare la partizione, riservando il polemos alle guerre che coinvolgevano i barbari, mentre le lotte fra polis avrebbero dovuto essere considerate sul registro della stasis, procedendo da una frattura interna alla comune grecità.

La specificità della guerra civile è a prima vista chiara. Tuttavia, come mostra l’esempio greco, a fare problema è la perimetrazione delle unità politiche, la demarcazione fra interno ed esterno che le caratterizza e la sua permeabilità ad altre linee di frattura. Inoltre, si tratta di un fatto bellico caratterizzato in genere da un’asimmetria definitoria. Spesso uno degli attori in campo considera la controparte come formata da semplici criminali o banditi, ossia da violatori della legalità interna, mentre questa rivendica lo status di parte belligerante. In altri casi, invece, il termine guerra civile può essere invocato da una parte che considera l’altra come appartenente alla propria comunità politica, mentre per il fronte avversario lo scontro avverrebbe fra distinte unità.

LA GUERRA CIVILE degli yankees, per fare un esempio, era la «guerra fra gli Stati» per i sudisti. Nel concreto delle congiunture storiche, poi, le due tipologie si presentano spesso inestricabilmente intrecciate, con le fazioni contrapposte della guerra civile che tendono a cercare raccordi esterni e le forze impegnate in un conflitto «interstatale» che mirano a spezzare la compattezza delle unità rivali suscitando fronti interni.

Le complicazioni del concetto di guerra civile sono al centro della più recente opera di Alessandro Colombo, Guerra civile e ordine politico (Laterza, pp. 310, euro 25). Si tratta di un ulteriore tassello in un itinerario di ricerca, scandito da volumi quali La guerra ineguale (il Mulino) o Tempi decisivi. Natura e retorica delle crisi internazionali (Feltrinelli), sulle trasformazioni della guerra in relazione alle vicende del sistema nazionale-internazionale e della contaminazione fra ordine interno ed esterno. Il libro offre una dettagliata analisi delle regolarità e delle variabili dei fenomeni raccolti sotto il significante «guerra civile» lungo un arco temporale che dall’antichità giunge al presente.

LE AMBIZIONI DEL VOLUME, però, vanno oltre una meritoria ricostruzione storico-concettuale. Come chiarisce il titolo, al centro delle attenzioni di Colombo è in primo luogo la relazione fra guerra civile e costruzione dell’ordine politico. Si tratta di un tema classico, dal momento che la guerra civile, nel contesto delle «guerre di religione», costituisce il «negativo» rispetto al quale si definisce, dal punto di vista teorico (Bodin, Hobbes, Gentili) e pratico la strutturazione della sovranità come dispositivo di costruzione della «pace interna» e la correlativa proiezione della guerra nello scenario delle relazioni fra Stati. Ma non solo. Anche le successive metamorfosi della sovranità, dalla transizione della sua titolarità dal monarca al popolo alle diverse ondate di costituzionalizzazione e democratizzazione delle sue forme di esercizio, avvengono all’ombra della guerra civile, una volta che ha assunto i tratti della rivoluzione.

Il percorso di riflessione proposto da Guerra civile e ordine politico ci riporta a una serie di questioni del presente. Un primo punto da evidenziare riguarda la progressiva colonizzazione operata dai tratti caratteristici delle guerre civili nei confronti della guerra nel suo complesso. Il riferimento è al venir meno della distinzione fra militare e civile, fra azioni di guerra e operazioni di polizia, fra guerra e pace. A ciò si aggiunge il mancato riconoscimento reciproco delle unità in lotta, l’assenza di chiari fronti, il ricorso a forme irregolari di combattimento, il protagonismo di attori privati. Un ulteriore aspetto che concerne la guerra sia «esterna» sia «interna», al di là della possibilità di distinguere le due tipologie, riguarda i suoi effetti costituenti. I «dopoguerra» del presente in genere si concretizzano non nella fissazione di stabili assetti regionali o nazionali quanto in regimi presidiati e in accordi permanentemente transitori.

Emblematici, in proposito, sono gli interminabili conflitti africani, in cui l’obiettivo degli attori in campo appare non tanto l’attivazione di processi territorialmente coerenti di state building quanto la santuarizzazione di punti notevoli, insediativi ed estrattivi, e delle infrastrutture logistiche che li collegano fra loro e li mettono in rete con lo spazio globale dei flussi, mentre altre aree, meno appetibili, sono contese da warlord che operano in scala più locale e dotati di minori risorse in termini di raccordi con altri attori regionali o grandi corporation. Si tratta di una dinamica di scomposizione dei territori che lungi dal riguardare solo i contesti di crisi costituisce una cifra caratteristiche delle spazialità politiche, economiche e sociali del presente.

UN ULTERIORE PUNTO su cui vale la pena soffermarsi riguarda la connessione fra guerra civile e dinamiche politiche «interne». La stigmatizzazione della guerra civile come la «più crudele delle esperienze», è un topos consolidato. Tuttavia c’è anche un altro lato della medaglia. A partire dall’Ottocento, come si è visto, la rivoluzione, il suo fantasma e la sua realtà, ha costituito il fattore propulsivo per le politiche di estensione e ampliamento della cittadinanza politica e sociale nonché per forti processi di redistribuzione della ricchezza. Una tendenza che si è invertita a partire dal momento in cui, su scala nazionale e internazionale, le prospettive di quel tipo hanno perso capacità d mobilitazione.

E così, come evidenzia Colombo, la guerra civile si scopre «fonte» di diritti «o almeno di quei diritti che non è possibile strappare senza minacciare o ricorrere all’impiego della violenza; e persino di qualche inconfessabile e radicale equilibrio di poteri – non quello elegantemente previsto nelle costituzioni liberali, ma quello che emana dalla stasi di due schieramenti già pronti alla battaglia».