«Ogni giorno è la Giornata della Terra». Lo ripetono spesso i palestinesi, il 30 marzo di ogni anno, mentre commemorano un evento che con il tempo ha dato a un significato antico motivazioni nuove.

Nel 1976, 45 anni fa, sei giovani palestinesi della Galilea, Stato di Israele, venivano uccisi mentre cercavano insieme alle loro comunità di impedire la confisca di 20mila dunam di terre (un dunam è pari a mille metri quadrati) da parte delle autorità israeliane.

Nel 1976 i palestinesi che erano riusciti a rimanere nel neonato Israele (appena il 20% del milione e mezzo di residenti del 1948) da appena un decennio erano usciti da un regime militare ventennale imposto sulla comunità araba: coprifuoco, ghetti chiusi da cui entrare e uscire con permessi speciali, arresti, divieto di ribadire la propria appartenenza.

Stavano ricostruendo lentamente la propria identità, andata in frantumi con la scomparsa improvvisa della nazione, della società in cui vivevano, delle reti familiari, e con l’apparizione di una nazione nuova, escludente. Il 30 marzo segnò un punto di svolta.

Da allora ogni anno, pandemia o meno, si manifesta, si piantano olivi, si ribadisce il legame con una terra negata. Tre anni fa la Giornata della Terra fu l’inizio di una lunghissima Marcia, quella del Ritorno di Gaza: 18 mesi, oltre 200 morti e 10mila feriti, per lo più giovani, colpiti alle gambe e alle ginocchia dai cecchini israeliani lungo le linee di demarcazione con la Striscia. Furono anche due anni intensi, di condivisione al confine, di canti, balli, studio, delle attività organizzate dei giovanissimi nei campi creati per l’occasione.

Quest’anno a segnare la 45esima Giornata della Terra è stata la sua vigilia: lunedì un 33enne palestinese, Munir Anabtawi, è stato ucciso ad Haifa, nello storico quartiere di Wadi Nisnas, da poliziotti israeliani secondo cui stava tentando di accoltellare un agente.

La famiglia ha poi fatto sapere che soffriva di disturbi bipolari: «È stato ucciso a sangue freddo, era malato, aveva bisogno di aiuto», ha detto la sorella. Munir Anabtawi è stato colpito alla schiena.

A segnarla è stato anche l’ultimo rapporto del Centro di Statistica palestinese: dal 1948 a oggi, Israele ha assunto il controllo effettivo dell’85% della Palestina storica. Il piano di ripartizione Onu del 1947 gliene assegnava il 55%.

L’altro dato: i palestinesi nel mondo sono 13,7 milioni, di cui 6,2 rifugiati fuori dai confini palestinesi. Nessuno di loro, titolare del diritto al ritorno riconosciuto dal diritto internazionale, è mai riuscito a varcare i confini in senso opposto ai genitori e ai nonni.

Così ieri, come ogni anno, in migliaia hanno commemorato il 30 marzo 1976 e una Giornata della Terra che non ha soluzione di continuità. A Gaza, in Cisgiordania, dentro Israele dalla Galilea al Naqab, realtà apparentemente lontane ma accomunate dalla perdita costante di quel che resta della propria terra: nei Territori occupati con le confische, nel deserto con la distruzione dei villaggi beduini mai riconosciuti ufficialmente da Israele.