Ha iniziato la Danimarca con un disegno di legge che andrà in votazione a fine mese nel Parlamento di Copenaghen, poi si è accodata la Svizzera e adesso la «moda» di sequestrare gli averi ai migranti come concorso alle spese di accoglienza ha contagiato due länder tedeschi: la Baviera e il Baden-Württemberg.

Le cifre dei sequestri sono diverse ma il principio, che ricorda tanto i prelievi forzati operati dalle truppe del Terzo Reich agli ebrei, è lo stesso. Anche se la denuncia del quotidiano tedesco Bild non sembra aver provocato significative reazioni in una nazione dove il passato nazista è ancora sulle prime pagine dei quotidiani. Il ministro dell’Interno bavarese Joachim Hermann ha confermato candidamente che «i richiedenti asilo vengono controllati al loro ingresso nei centri di accoglienza su documenti, oggetti di valore e contanti. E questi ultimi possono essere requisiti se il valore supera i 750 euro».
Nel vicino Baden-Württemberg ai migranti è invece possibile tenere solo fino a 350 euro. In Svizzera la confisca scatta oltre i mille franchi, circa 913 euro, mentre in Danimarca il prelievo statuale dovrebbe essere applicato a valori, inclusi oggetti preziosi, oltre i 1.300 euro.

Nel contempo i danesi, sempre con l’obiettivo dichiarato di scoraggiare i migranti dal far rotta verso il paese della Sirenetta, che secondo le stime Ocse gode di uno degli standard di vita più elevati dell’Occidente, hanno pensato ieri di introdurre il maiale obbligatoriamente in tutti menù delle mense di scuole, asili e ostelli. La scelta obbligatoria per ora riguarda solo la città di Randers ma i politici danesi la difendono come un vessillo, un atto necessario a preservare le tradizioni alimentari di un paese a maggioranza luterano respingendo le accuse di islamofobia. Un consigliere della città, Frank Nørgaard, ha difeso il provvedimento del maiale obbligatorio in quanto questa carne sarebbe «un elemento centrale della cultura alimentare della Danimarca». Insomma, ai rifugiati toccherà pagare per avere, oltretutto, un cibo non halal, che non possono mangiare perché contrario alle loro prescrizioni religiose.

Si tratta di gesti, segnali della tenuta democratica, o meno, della convivenza civile europea. Ai migranti medesimi interessano certamente di più le notizie che vengono dalla chiusura dei varchi d’accesso all’Europa. E da questo punto di vista, anche se continua la strage sull’Egeo, tra tante chiusure è da segnalare una timida apertura: quella della frontiera tra Macedonia e Grecia. Le autorità macedoni hanno infatti riaperto i passaggi frontalieri anche se soltanto ai richiedenti asilo che hanno fatto domanda per la Germania o l’Austria come destinazione finale. A Idomeni, sul confine con la Grecia sono attualmente accampate circa 1.700 persone con temperature che vanno anche a meno dieci e meno venti gradi e poco più di una coperta per difendersi. I rischi di una moria per assideramento, almeno un po’ imbarazzante, sono assai concreti.

Le morti continuano per il momento soprattutto nel tratto di mare tra la costa turca di Smirne e l’isola greca di Lesbo. È lì che ieri mattina hanno perso la vita almeno 12 migranti, tra i quali quattro bambini. I primi tre facevano parte di un barcone, partito dal paesino di Foca, che si è ribaltato. Quattro adulti sono stati salvati dalla guardia costiera turca che ha impegnato nelle operazioni tre motovedette e un elicottero. Due erano donne, una in stato di ipodermia e l’altra con un braccio rotto.

Sul versante greco la guardia costiera ha recuperato 73 migranti sbarcati a Lesbo. Tra loro, un bambino piccolo che non è riuscito a sopravvivere al freddo della traversata. Il contingente era composto da iracheni, siriani e afghani che avendo chiesto asilo in Germania e Austria potranno proseguire non appena identificati nell’unico hot spot funzionante, quello di Moria, mentre i pachistani del gruppo dovranno seguire un altro percorso per essere rimpatriati.

La cancelliera tedesca Angela Merkel che a settembre ha aperto le porte ai siriani e ai profughi dei paesi in guerra, è sempre più oggetto di critiche per questo, anche dai suoi stessi colleghi di partito. In particolare il governatore della Baviera – uno dei due länder che ha introdotto le confische – Horst Seehofer, potente leader della Csu, l’ha attaccata ieri dalla città di Kreuth accusandola di aver creato una « forte attrazione magnetica» di profughi verso la Germania. Seehofer insiste perché il governo di Berlino metta un tetto ai rifugiati ammessi sul suolo tedesco, sul modello di quanto ha appena deciso la vicina Austria. Un modello che ora vorrebbero adottare anche i Paesi Bassi.

Il premier olandese Mark Rutte ieri da Davos ha detto di essere disposto – «un accordo è un accordo» – a trovare posto a 6 mila rifugiati per alleggerire la pressione su Grecia e Italia. Secondo Rutte l’Europa ha al massimo 6-8 settimane per trovare una soluzione alla crisi dei migranti. Finora, in base ai dati aggiornati della Commissione, i posti «virtuali» per i ricollocamenti sarebbero 62 mila su 160 mila. Ma gli arrivi continuano.