Mascherina griffata con il logo di Confindustria, Carlo Bonomi snocciola le priorità per il paese. La prima? La restituzione alle imprese di 3,4 miliardi. Per quale motivo? Una sentenza della Corte di cassazione di febbraio che stabilisce l’incompatibilità con il diritto comunitario e quindi l’obbligo di rimborso dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica introdotta nel millenio scorso (1998) e abrogata nel 2012: la restituzione di quanto versato nelle annualità per le quali non è ancora scattato il termine di prescrizione di 10 anni, cioè il 2010 e il 2011 Della serie: «Guardiamo al futuro».

Al momento fra l’altro a rimetterci sarebbero solo le aziende di vendita di energia elettrica perché la sentenza stessa prevede di non potersi rifare sull’erario. Insomma, Bonomi rischia di far perdere miliardi ad imprese sue associate, a partire da Enel.

NON PAGO DEI 4 MILIARDI di esenzione Irap per tutte le imprese senza distinzione e tetti di fatturato previsto dal decreto Rilancio, il neo presidente di Confindustria – annunciato dalla grancassa mediatica come nemico numero uno del governo – si è presentato a villa Pamphilj con un libretto a sua prefazione e tanti imperativi.
Finiti quelli però la sua idea di paese pare assai gracile e confusa. Tanto che le parole finali del suo intervento paiono un peana di quella concertazione che chiedono i sindacati e che il falco lombardo degli industriali voleva cancellare, a partire dai contratti nazionali. «Confindustria non crede in uno stato cattivo contrapposto al privato buono. Ciò che chiediamo è una democrazia moderna con istituzioni efficienti e funzionanti, cioè con una pubblica amministrazione buona, come già indicato e chiesto dal governatore di Bankitalia», è il suo ultimo tweet di giornata.

L’attacco più forte dunque si riduce al rammentare i ritardi italiani nei crediti di imposta rispetto al resto dell’Unione europea: «Sul fisco, non possiamo operare restando in attesa per oltre 60 mesi in media della regolazione da parte dello Stato dei crediti Iva alle imprese, quando nei Paesi concorrenti europei avviene in meno di 6 mesi».

Poi le lamentele di Confindustria passano al tema trito e ritrito dei ritardi dell’Inps. «La Cassa integrazione è stata anticipata in vasta misura dalle imprese e così sarà per le ulteriori 4 settimane. Gravi ritardi anche per le procedure annunciate a sostegno liquidità. Le misure economiche di bandiera italiana si sono rivelate più problematiche di quelle di bandiera dell’Unione Europea», dimostrando evidentemente di aver già ricevuto da Bruxelles i fondi del Recovery Fund, del Sure e del Mes all’insaputa di tutta Europa.

Insomma, «la politica che ha fatto più danni del Covid» non sembra poi tanto male e così «i tanti annunci e dei pochi fatti» sono molto relativi, così come «il vento fortemente anti-industriale tornato a spirare nel paese».

BONOMI HA POI SCELTO IL TG5 per commentare la giornata agli Stati generali. Con il premier Giuseppe «Conte i rapporti sono stati e sono buoni, abbiamo stima reciproca poi è ovvio che Confindustria ha il dovere di fare critiche sui temi economici e il dovere di fare proposte».

In mancanza d’altro Bonomi poi rivendica di aver ottenuto un accelerazione da Conte sul piano che fino a ieri invece uno «schema senza impegni precisi»: «Abbiamo spinto il governo ad anticipare le proposte perchè vogliamo capire e posto tre temi: la produttività che da 25 anni è stagnante, ferma, bloccata, abbiamo il 90% dei contratti di lavoro in scadenza e questo è un primo problema che dobbiamo affrontare; la qualità ed efficienza della spesa pubblica, in questi anni abbiamo speso tanto e male e dobbiamo far buon uso delle risorse; tener conto del debito che sfiorerà il 160% del Pil e dobbiamo fare un ragionamento su come ridurlo gradualmente e nel tempo, altrimenti saremo sempre in difficoltà», conclude il suo ragionamento il numero uno degli industriali.

MENTRE LE AGENZIE BATTONO le dichiarazioni di Bonomi, da parte sindacale si evitano commenti ma l’umore è positivo. Cgil, Cisl e Uil si attendevano un attacco molto più forte al governo e alla concertazione con il timore di richieste «prendere o lasciare» sulle prossime partite dell’autunno. Così non è stato e il falco Bonomi ieri è sembrato quasi mansueto agli occhi dei sindacati.