Anche la seconda giornata del convegno dei giovani di Confinsutria a Santa Margherita Ligure è stata attraversata da uno spettro: quello della rivolta sociale dei giovani italiani, i più disoccupati in Europa dopo i coetanei greci e spagnoli. Dopo l’avvertimento al governo lanciato da Jacopo Morelli, presidente dei giovani imprenditori under 40, «senza un “reddito minimo a tempo” rischiamo la rivolta dei giovani», è stato il peso massimo di Viale Astronomia Giorgio Squinzi a ribadire un concetto ormai molto in voga tra i padroni del vapore. Più che il reddito, o comunque le tutele sociali per chi è precario o disoccupato, a Squinzi interessa il tema della «crescita», da ottenere preferibilmente con il rilancio della manifattura ormai in crisi nera, le energie fossili, la riduzione del costo del lavoro e quello del cuneo fiscale. «Non avere la crescita – ha detto il presidente di Confindustria – non avere un’opportunità di lavoro per i giovani, comporta un rischio di tenuta per il sistema sociale del paese. Penso che nelle piazze scenderanno coloro che non hanno il lavoro e che non vedono opportunità per il loro futuro. Dobbiamo mettercela tutta per evitare che questo succeda».
Qualora accadesse queste, ed altre uscite, le si potrebbero giudicare come una legittimazione di una rivolta, o comunque l’attestazione di una comprensione da parte degli imprenditori, un fatto singolare e sicuramente improbabile considerata la cultura politica e sociale di Confindustria. Al di là degli avvertimenti, Squinzi ha più di una ragione per «stare addosso» al governo Letta. Tutti gli indicatori della crisi prevedono il peggio. La recessione rischia di sfondare anche quest’anno il tetto negativo del 2% sul Pil nel 2013, i disoccupati aumenteranno, mentre Bankitalia ha certificato il peggioramento del «credit crunch» ad aprile. I prestiti delle banche alle imprese sono diminuiti del 3,7% ad aprile, 50 miliardi in 18 mesi. In questa situazione il governo suderà sette camicie per recuperare 6 miliardi ed evitare l’aumento dal 21% al 22% dell’Iva a luglio. Tutt’al più lo rinvierà a dicembre, come ieri ipotizzava il ministro delle infrastrutture Lupi. Da Firenze, un Letta impegnato a duettare con Renzi ha confessato l’impotenza: «Ci proveremo – ha detto – ma l’aumento non l’abbiamo deciso noi». Infatti, l’ha deciso la terza gamba delle «larghe intese», Monti, su imposizione della Ue. Tutte le speranze nella crescita sono appese al pagamento di 40 miliardi dei debiti dello Stato alle imprese nel 2013.
In questo quadro di dubbi e pessimismo servirebbero investimenti, non solo i risparmi della spending review come ancora ieri si ostinava il ministro dell’Economia Saccomanni. Quest’ultimo, al consiglio per le relazioni Italia-Usa a Venezia, ha rilanciato un vecchio pallino di Tremonti: gli Eurobond. Quando il commercialista lanciò quest’idea venne deriso per mesi, tranne che da Romano Prodi. La Germania non li avrebbe mai concessi, gli risposero. E in effetti non si capisce perché Merkel dovrebbe farlo prima delle elezioni politiche di settembre, dopo le quali gli «austerici» della Cdu dovrebbero stabilire il ritorno del sole nella notte dove tutte le vacche sono nere in Europa. Nel frattempo il Pil della Gerrmania si avvicina allo zero, come quello di uno dei paesi «lassisti» meridionali da cui vuole distinguersi. In attesa di risolvere il giallo, Saccomanni ha assicurato che l’iniezione di liquidità della Bce alle banche europee (200 miliardi solo a quelle italiane) ha arrestato gli effetti di una crisi «più complessa di quella del 29». Ma solo il 5% di quelle risorse sono finite nelle tasche di imprese e famiglie e il peggio del [CORSIVO]credit crunch[/CORSIVO] deve arrivare. Lo stesso Draghi è diventato più timido nell’annunciare una ripresa che, se verrà, non produrrà nuova occupazione. Il governo Letta affida le sue speranze ai fondi che verranno concessi dal vertice europeo del 3 luglio a Berlino. Sempre che il cigno nero di una rivolta, scongiurata dagli industriali, non faccia entrare il futuro nelle polverose stanze di chi ormai ha capito in che guaio si è cacciato.