Che in Italia fossero i teatri e i musei gli spazi pubblici più affollati e infetti al contrario di centri commerciali e vie dello shopping è una circostanza che ci era sempre sfuggita prima delle ultime decisioni del governo in materia di lotta al coronavirus. Può accadere che certe misure rivelino in filigrana, aldilà della loro efficacia o ragionevolezza, una particolare idea del vivere in società e delle relative priorità. Senza entrare nel merito del Green pass rafforzato, dell’attendibilità o meno dei tamponi, rapidi o molecolari che siano, è in primo luogo alla tenuta di una logica, di un pensiero razionale, che converrebbe guardare.

L’epidemia ha ripreso a crescere e la concentrazione di persone, soprattutto non vaccinate, parzialmente vaccinate o risultate negative a test di dubbia attendibilità, a favorirne la diffusione. Questo vale per ogni assembramento indipendentemente dai motivi o dalle ragioni che lo hanno determinato.
Ai fini della pubblica salute se soggetti privi di Green pass si ammassano nelle gallerie di una miniera, in un capannone industriale o in un centro commerciale piuttosto che in questo o quel luogo della vita culturale e «ricreativa» non fa alcuna differenza.

Logica vorrebbe che per esercitare il proprio ruolo di lavoratore o di consumatore non sarebbe sufficiente risultare negativo a un tampone. L’eccezione prevista dal governo rivela come il lavoro e il consumo figurino come le prime, se non le uniche necessità della vita sociale. Cosicché al di fuori da ogni logica sanitaria, negare l’accesso a tutti gli ambiti della vita pubblica diversi dal lavoro e dal consumo a quanti non dispongono del Green pass vaccinale ha una pura e semplice funzione punitiva. Con l’intento, a forte rischio di insuccesso, di spingere i renitenti alla vaccinazione.

Se lo scopo del nostro governo non è quello di creare il paradiso di Confindustria dove lavoro e consumo passano davanti a tutto, allora anche per queste attività dovrebbe essere richiesto il completamento del ciclo vaccinale. Si tratterebbe della famigerata vaccinazione obbligatoria che molti paventano come grave attentato alle libertà individuali se non all’ordine costituzionale? Di fatto, più o meno. Di diritto sembrerebbe di no. Ma avrebbe almeno una logica e presumibilmente una maggiore efficacia.

Né credo fermerebbe la macchina economica, limitandosi a sottoporla a condizioni non impossibili da rispettare e già richieste fuori dal suo ambito. Altrimenti rientreremo in quella giungla di normative e ordinanze, non di rado arbitrarie, di controlli e sanzioni che già hanno esacerbato gli animi dei cittadini nelle fasi precedenti. E di cui le prime avvisaglie si intravedono nei coprifuoco a macchia di leopardo, secondo gli umori dei sindaci altoatesini. Ogni partizione della popolazione in base ai suoi comportamenti è destinata a seminare astio, risentimento e diffidenze. Così come ogni segmentazione della vita sociale tra superfluo e necessario, mette in luce gerarchie di interessi, aridità contabili, e disprezzo dei cittadini. Delle due l’una: per godere della vita sociale nel suo insieme o basta sempre il tampone negativo o non basta mai, serve sempre il Green pass rafforzato o non serve mai. O, probabilmente serviranno entrambi. La logica dice così, ma la politica abita altrove.