Un esordio molto ben allineato, “sul pezzo”, quello del nuovo presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, che ieri ha presentato il suo programma all’Assemblea annuale degli imprenditori: la crocetta al referendum per la Costituzione va decisamente sul Sì, e la prima fila del parterre è ampiamente soddisfatta. Matteo Renzi non c’è, il premier è al G7 del Giappone insieme a Padoan, ma di fronte al palco dell’Auditorium di Roma, sotto le grandi ali dell’aquila confindustriale, sono accomodati quasi tutti i suoi ministri: Calenda, Delrio, Poletti, Franceschini. Ospite d’eccezione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Luce verde sul quesito di ottobre, quindi, la richiesta di abbassare le tasse su imprese e lavoro – anche a costo di un aumento dell’Iva – la barra dritta sui contratti: «Lo scambio “salario/produttività” è l’unico praticabile». Basta aumenti a pioggia erogati a livello nazionale, insomma, come ha già detto chiaro e tondo Federmeccanica sul rinnovo al momento più caldo, quello dei metalmeccanici. Tanto che in questi giorni le tute blu, come diversi altri settori, preparano gli scioperi.

«Basta veti e particolarismi»

La scelta di campo è netta, anche se con delicatezza la parola “Sì” non viene mai espressa, perché tra l’altro c’è da aspettare «la decisione del Consiglio generale (di Confindustria, ndr) convocato per il 23 giugno», spiega Boccia. Ma l’indicazione appare chiarissima: «Le riforme sono la strada obbligata per liberare il Paese dai veti delle minoranze e dai particolarismi – spiega il presidente nella sua relazione – Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione. Con soddisfazione, oggi, vediamo che questo traguardo è a portata di mano». «Una democrazia moderna prevede che chi si oppone a una riforma, a un governo o a una misura avanzi proposte alternative subito praticabili e non usi l’opposizione solo per temporeggiare». Ce n’è anche per le opposizioni e per i critici verso la riforma, insomma, tanto che ieri sui social qualcuno, parafrasando Boschi, ironizzava: «Gli industriali, quelli “veri”, votano Sì».

La ripresa? Ancora non si vede

«La nostra economia è senza dubbio ripartita – l’analisi del leader degli industriali – Ma non è in “ripresa”. È una risalita modesta, deludente, che non ci riporterà in tempi brevi ai livelli pre-recessione». Tre almeno i soggetti chiamati ad agire: innanzitutto gli stessi imprenditori, che devono «imboccare la strada giusta». Ovvero «innovare, investire, esportare». Necessario è poi «aprire il capitale dell’impresa», a «fondi di private equity» ad esempio, diventando così meno dipendenti dalle banche, «meno bancocentrici». «Più capitale di rischio, meno capitale di debito – è la parola d’ordine – Crescere deve diventare la nostra ossessione».

Ma non basta, ci sono altri due soggetti che devono partecipare al cambiamento, per far ripartire l’Italia: uno di questi è il governo, «con una scelta che ha un solo nome: politica industriale». Ecco l’elenco degli asset su cui investire: tecnologie, efficienza energetica, infrastrutture, porti che accolgano navi sempre più grandi, uso intelligente dei fondi europei per il Mezzogiorno.

Altro capitolo, le politiche fiscali. «Chiediamo di spostare il carico fiscale, alleggerendo quello sul lavoro e sulle imprese e aumentando quello sulle cose». Non si parla di rendite o di proprietà, ma di «cose»: molti hanno letto un chiaro ok all’aumento dell’Iva, senza che il governo si debba scervellare per le clausole di salvaguardia. «È ottima la riduzione dell’Ires al 24% a partire dal 2017 – prosegue Boccia – Che però non basta». Bene anche la legge delega contro la povertà, si invocano poi «misure a favore degli incapienti» e «una politica fiscale a favore degli investimenti», potenziando il credito di imposta e rinnovando il superammortamento.

Cari sindacati, ecco la bussola

Terzo ruolo, quello dei sindacati. Per il momento non c’è un invito di Boccia a tornare al tavolo per il rinnovo del modello contrattuale: il presidente lascia fare ai confronti già aperti nei diversi settori, indicando però, anzi confermando, una direttiva già emersa chiaramente nel corso di più negoziati. Ecco la bussola: «Consideriamo da sempre lo scambio “salario/produttività” una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzare questo scambio. Gli aumenti retributivi devono corrispondere ad aumenti di produttività. Il Contratto Nazionale resta per definire le tutele fondamentali del lavoro e offrire una soluzione a chi non desidera affrontare il negoziato in azienda». Il presidente chiede, a sostegno, «una politica di detassazione e decontribuzione strutturali. Senza tetto di salario e di premio, con lo scopo di incentivare i lavoratori e le imprese più virtuose».

Un mercato degli aumenti liberalizzato, in sostanza, dove di fatto quello che una volta era il secondo livello diventerebbe il primo. Le regole, quando ci si risiederà al tavolo, dovranno essere scritte «dalle parti sociali e non dal legislatore».

«Una visione vecchia tra il salario e produttività, che non si misura con la mancanza degli investimenti e il ritardo tecnologico delle imprese – ha commentato la segretaria Cgil Susanna Camusso – Boccia ha fatto un’affermazione importante, che le relazioni industriali sono un tema delle parti sociali e non del governo. Poi, però, c’è un rinvio ad affrontare il problema».

«Niente muri», con il papa

Progressista la parte della relazione in cui si parla di immigrati: sì alla «libera circolazione delle persone», no alla rinuncia a Shengen, opposizione «a qualsiasi tipo di muro», e la citazione di papa Francesco («Sogno un’Europa in cui essere migrante non sia un delitto»).

Dal palco parla il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ed esordisce in pubblico quello allo Sviluppo, Carlo Calenda. Che promette di velocizzare l’iter del ddl concorrenza e si lancia in una difesa a spada tratta del Ttip.