«La vita è come una diretta tv, non c’è il tasto repeat. Accetterò la punizione scelta dal partito e dalla legge». Li Chuncheng, si lascia andare alle lacrime mentre la telecamera indugia sul volto contrito dell’ex vice capo del Partito della provincia sudoccidentale del Sichuan. Li – condannato lo scorso anno a 13 anni di reclusione- viene considerato la prima delle cosiddette «tigri», i funzionari di alto livello finiti nelle maglie della campagna anticorruzione lanciata da Xi Jinping appena assunto l’incarico di Segretario generale del Partito nell’autunno 2012.

Secondo un sondaggio lanciato dall’ufficiale People’s Daily, il suo mea culpa è stato designato a furor di popolo (oltre 3mila voti) come «migliore confessione» tra le 77 trasmesse nell’ambito del programma in otto puntate andato in onda dal 17 al 25 ottobre sul canale 1 della televisione di Stato CCTV. Always on the Road, questo il nome della serie coprodotta dalla Commissione centrale per l’ispezione della disciplina (CCDI), che offre uno squarcio inedito sulla viziosa condotta degli «eredi» di Mao Zedong, compresi 16 funzionari di livello provinciale o superiore.

Oltrea Li Chuncheng, spiccano i casi di Bai Enpai, ex delegato dell’Assembela nazionale del popolo nonché capo del Partito dello Yunnan, e Zhou Benshun, il deposto segretario del Partito dello Hebei accusato di aver speso – a fronte di uno stipendio ufficiale di 100 mila yuan all’anno – 1 milione di yuan per assumere due cuochi specializzati nella cucina dello Hunan (la sua regione d’origine) e due domestici incaricati di accudire i suoi animali domestici.

«Sono come impazzito, ho perso la testa e i miei ideali», ammette davanti all’obiettivo Bai Enpei, condannato alla pena di morte sospesa (equivalente a un ergastolo) per aver accettato mazzette pari a 38 milioni di dollari.
Se infatti la prima puntata si apre con l’invettiva caustica pronunciata da Xi Jinping nel discorso di fine anno (letteralmente: «dobbiamo continuare a governare con disciplina impugnando la spada dell’anti-corruzione»), in realtà a dare valore aggiunto al programma sono i particolari dei costosi capricci dei protagonisti (cene lussuose a base di coda di coccodrillo e Maotai) e le sfumature di umanità con cui viene pennellata la corruzione.

I funzionari appaiono davanti all’obiettivo in tutta la loro fragilità: i capelli non più neri corvino ma ingrigiti per il mancato uso della tinta; la voce è rotta, lo sguardo mesto. Di contro, il presidente Xi viene celebrato per la sua condotta moderata e le abitudini frugali da prendere ad esempio. Non è ben chiaro se i mea culpa siano effettivamente spontanei o meno. Le confessioni sono state a lungo parte fondamentale del sistema giuridico cinese, con frequenti autocritiche da parte di piccoli criminali davanti alle telecamere; una «repressione visiva» che attinge ad un repertorio di proverbi locali dal «colpirne uno per educarne cento» (copyright Mao Zedong) ad «ammazzare i polli per spaventare le scimmie».

«In Cina riscontriamo l’uso di autocritiche al di fuori del processo penale (ad esempio nell’ambito di un procedimento disciplinare di Partito) e autocritiche che invece servono come confessioni in effettive accuse di carattere penale» ci spiegava tempo fa Margaret Lewis della Seton Hall Law School, «anche se non è scritto nel codice di procedura penale, la Cina ha avuto per lungo tempo una politica informale di clemenza per chi confessa, severità invece per chi fa resistenza».

L’intento «pedagogico»- che distingue Always on the Road da un House of Cards qualunque – lo si intuisce non soltanto dalla solerzia con cui, in molte aree del Paese, la visione del documentario è stata forzosamente somministrata ai quadri locali, ma anche dal tempismo con cui il programma è stato inserito nel palinsesto ad appena pochi giorni dall’inizio del sesto Plenum del Comitato centrale del Partito, che quest’anno si è sviluppato intorno al tema della disciplina e della supervisione intrapartitica.

Investito del prestigioso riconoscimento di «core leader», Xi Jinping ha dichiarato guerra al nepotismo e alla formazione di cricche politiche, incoraggiando i membri del Comitato centrale, del Politburo e del suo Comitato permanente (il gotha del potere cinese) a dare il buon esempio. Secondo una sintesi del meeting apparsa sul Quotidiano del Popolo, il presidente non ha mancato di citare espressamente gli epurati più eccellenti dall’ex segretario di Chongqing Bo Xilai, allo zar della Sicurezza Zhou Yongkang passando per i corrotti in divisa Guo Boxiong e Xu Caihou.

La loro presenza in Always on the Road è ridotta ad un fugace cameo; quanto basta per ricordare la trasversalità del malcostume attraverso tutta la gerarchia comunista, evitando tuttavia di indugiare eccessivamente sui mali che si annidano al vertice, dove la campagna anticorruzione sconfina in controverse lotte di potere.

Non ci scordiamo, infatti, che la trasmissione non era diretta esclusivamente a un pubblico di addetti ai lavori. 15,6 milioni di persone hanno guardato la prima puntata attraverso la piattaforma streaming gestita da Tencent. E sebbene gli account Weibo dei media ufficiali abbiano disattivato la funzione per rilasciare commenti relativi al programma – presumibilmente al fine di ridurre il rischio di critiche -, stando a quanto dichiarato sul sito web della CCDI, i telespettatori hanno accolto l’iniziativa con «entusiasmo».

Ecco che a un livello più mainstream la serie aggiunge una freccia alla faretra della propaganda autocelebrativa di Pechino. D’altronde, va riconosciuta la notevole popolarità ottenuta dall’opera di pulizia avviata da Xi. Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center, mentre l’83% della popolazione avverte la corruzione come il problema più grave che la Cina si trova ad affrontare, il 64% confida in un possibile miglioramento nei prossimi cinque anni di governo Xi Jinping. D’altronde i numeri ufficiali parlano chiaro: dal 2013 a oggi un milione di quadri è stato punito per corruzione, sotto la precedente amministrazione, nel periodo 2007-2012, i sanzionati erano stati «soltanto» 668mila.