Avrebbe confessato il responsabile dell’uccisione dei tre coloni, il 12 giugno, vicino Hebron. «Hussam Qawasmeh è stato arrestato lo scorso mese a Shuafat, sospettato di aver guidato il commando che ha rapito e ucciso i tre adolescenti», si legge nel comunicato di ieri dalla polizia israeliana.

L’evento scatenante il massacro di Gaza torna sui giornali israeliani, che nelle settimane appena passate hanno omesso di riportare le dichiarazioni del portavoce della polizia, Micky Rosenfeld. Lo aveva rivelato Jon Donnison, corrispondente della BBC: «Il portavoce mi ha detto che gli uomini che hanno ucciso i tre coloni israeliani sono una cellula separata, affiliata ad Hamas, ma non operante sotto la sua leadership».

Media e governo israeliani avevano prontamente oscurato una notizia che minava alla base la campagna punitiva lanciata da Tel Aviv contro la Cisgiordania prima e l’operazione Margine Protettivo contro Gaza poi. Hamas, che ha sempre negato il proprio coinvolgimento, andava distrutta – e con il movimento islamista il processo di riconciliazione con Fatah – e l’occasione fornita dalla morte dei tre coloni era la giustificazione migliore a guadagnarsi il consenso internazionale.

Secondo quanto riportato dalla polizia, Hussan Qawasmeh, 40 anni, avrebbe detto di aver ricevuto denaro dalla leadership di Hamas a Gaza per reclutare e armare i rapitori. In precedenza il principale sospettato era un parente di Hussan, Marwan Qawasmeh, tuttora ricercato insieme ad un secondo sospetto, Omar Abu Aisha. Fino a ieri, Hussan era accusato soltanto di aver messo a disposizione la sua terra, ad Halhul, per seppellire i tre corpi.

Dal tribunale israeliano, accanto all’arresto di Hussan, è arrivato anche l’ordine di demolizione della sua abitazione, precedentemente bloccato dalla Corte Suprema. L’ennesima forma di punizione collettiva che ha investito i Territori Occupati da giugno: durante l’operazione di ricerca dei tre coloni – nonostante sia stato ampiamente provato che governo e servizi segreti sapevano dal giorno successivo alla scomparsa che i tre erano stati uccisi subito – le forze militari israeliane hanno messo a ferro e fuoco la Cisgiordania. Oltre 700 arresti, centinaia di case perquisite, decine di raid nei villaggi, sette palestinesi uccisi, ritiro dei permessi di lavoro per i residenti di Hebron. Fino alla decisione finale: l’attacco contro Gaza, quasi un mese di bombardamenti a tappeto che hanno lasciato dietro di sé 1.900 morti, 520mila sfollati, 10mila case distrutte e 9mila feriti.

Diversa la versione del padre di Hussan Qawasmeh, Abu Hassan. Lo avevamo incontrato nel suo piccolo negozio di prodotti per la casa, nella Città Vecchia di Hebron, poche ore prima della presunta confessione del figlio: «I soldati sono arrivati il giorno dopo la notizia della scomparsa dei tre coloni – spiega al manifesto Abu Hassan Qawasmeh – Quel giorno Hussan era andato ad Al Ram [tra Ramallah e Gerusalemme, ndr] con la famiglia. Si erano fermati a dormire lì. I soldati sono arrivati alle 6 del mattino e hanno perquisito le nostre case. L’altro mio figlio, Hassan, è partito per andare a prendere il fratello. È stato bloccato al checkpoint Container e arrestato. Intanto altri soldati andavano ad Al Ram ad arrestare Hussan e la sua famiglia».

«Abbiamo saputo che si trovavano nella prigione Muscubiya a Gerusalemme. Il resto della famiglia è stato rilasciato ma Hussan no, accusato di aver dato la sua terra per seppellire i tre coloni. Ma non è così: Né Hussan né Hassan né Mohammad, arrestato anche lui, hanno a che fare con questa storia. È una montatura. La nostra famiglia è nel target israeliano da tanto tempo: dei miei 10 figli, due sono stati uccisi durante la Seconda Intifada, da pallottole israeliane durante manifestazioni; sei sono in prigione e uno è stato deportato a Gaza dopo l’accordo Shalit. Hanno aggredito anche mia moglie: per fare pressioni su Hussan perché confessasse quello che non aveva fatto hanno minacciato di demolire la nostra casa e hanno arrestato per 12 ore mia moglie. Ha 65 anni ed è malata di diabete: è stata ammanettata e bendata e lasciata in una cella di un metro per due senza neppure dell’acqua».