Oggi il ministro dell’interno andrà a trovare nel carcere di Piacenza un condannato con sentenza definitiva per il tentato omicidio di chi aveva cercato di derubarlo. Non c’entra la legittima difesa. Angelo Peveri, imprenditore, di recente divenuto idolo a Piacenza di CasaPound e della Lega, che organizza raccolte di firme in suo sostegno e per il 3 marzo anche una manifestazione, la legittima difesa non ha neanche provato a sollevarla in tribunale. «Non è mai entrata nel processo», ha spiegato alla Libertà il procuratore di Piacenza, Salvatore Cappelleri.

In primo grado il processo si è svolto con il rito abbreviato, la difesa ha rinunciato al dibattimento sostanzialmente accogliendo gli atti di inchiesta della procura, in cambio di uno sconto di pena. L’appello ha confermato la condanna a quattro anni e mezzo. La settimana scorsa la Cassazione ha reso definitiva la pena che Peveri ha cominciato a scontare in carcere. Non prima di aver partecipato a una conferenza stampa indetta da alcuni sindaci di area Lega. Da quel momento l’imprenditore è diventato un testimonial nazionale di chi tifa per la libertà di sparare per difendersi. Ma per la giustizia italiana questa è una storia che non parla di auto difesa.

In una serata di ottobre del 2011, accompagnato da un suo dipendente, Peveri accorse nel luogo dove tre cittadini rumeni stavano tentando di rubare gasolio da alcuni mezzi per il movimento terra di sua proprietà. I fatti si sono svolti sul greto di un torrente, alla Mottaziana di Borgonovo, nei pressi di un cantiere. Non all’interno di una proprietà dell’imprenditore. I ladri erano tre, uno dei quali, fuggito dopo che Peveri aveva esploso da lontano dei colpi in aria con un fucile a pompa, dopo alcune ore era tornato indietro per recuperare l’automobile. Ma, scoperto dal dipendente che era con Peveri, fu fermato e immobilizzato. L’imprenditore sparò poi due colpi, uno dei quali a segno. La sentenza di appello ricostruisce così i fatti: «La vittima, palesemente non armata, dopo essere stata bloccata a terra, è stata ripetutamente percossa, anche con un corpo contundente, nonostante le insistenti e supplichevoli manifestazioni di pentimento, ed è stata colpita da distanza ravvicinata con un fucile caricato con proiettili ad elevata capacità offensiva al torace». E più avanti: «Entrambi gli imputati hanno agito con il preordinato proposito non già di bloccare i ladri, ma di dar loro una lezione». Il ladro oggi vive e lavora a Piacenza ed è rimasto invalido al 55%. Il dipendente di Peveri, anche lui rumeno, è stato condannato a 4 anni e due mesi.

Salvini arriva a Piacenza alla vigilia del passaggio in aula alla camera delle legge sulla legittima difesa. Ieri ha saputo che i genitori di un 23enne barese, ucciso nel 2010 durante un tentativo di rapina a una stazione di servizio, hanno intenzione di querelarlo. Perché martedì scorso, nel corso di un comizio a Bari, il ministro ha detto che «il rapinatore nella prossima vita deve cambiare mestiere». Accanto a Salvini c’era Enrico Balducci, il benzinaio che sparò e uccise. Oggi è il segretario provinciale della Lega. «Non mi spaventano», ha detto Salvini.