Offuscate dall’indiscrezione che re Abdallah avrebbe segretamente incontrato nei giorni scorsi il premier israeliano Neftali Bennett nel suo palazzo ad Amman, per aprire «una nuova pagina» nelle relazioni Israele-Giordania dopo quelle tese con l’ex primo ministro Netanyahu, sono passate sottotraccia le condanne a 15 anni di carcere per Bassem Awadallah, ex capo della Corte reale ed ex ministro delle finanze, e Sharif Hassan bin Zaid, ex inviato del re in Arabia Saudita, accusati di aver tentato la scorsa primavera di mettere a repentaglio la «sicurezza della società» e di aver fomentato la «sedizione». In poche parole di aver ordito un colpo di stato con il coinvolgimento dell’ex principe ereditario e fratellastro del sovrano, il principe Hamza.

Si è chiusa sottovoce una vicenda che ad aprile aveva aperto nel regno hashemita una crisi senza precedenti, con re Abdallah deciso a regolare con il pugno di ferro i conti con chi agiva nell’oscurità «per rimuoverlo dal potere» e favorire l’ascesa al trono del fratellastro. Ma il colpo di stato si è rivelato un intrigo di palazzo e 16 delle 18 persone coinvolte, sono state poi rilasciate. Hamza in un primo tempo rimasto confinato nella sua residenza, aveva poi proclamato la sua fedeltà al re ottenendo che la vicenda si risolvesse all’interno della famiglia reale riuscendo così ad evitare una condanna e il carcere. Cosa ci fosse di concreto dietro l’accusa di tentato «golpe» forse non si saprà mai, almeno non tutto. E non sono in pochi a pensare in Giordania che re Abdallah abbia ingigantito l’accaduto per segnalare ad alleati e nemici interni ed esterni di avere il pieno controllo del suo paese e smentire le voci che lo volevano indebolito e senza più un ruolo regionale.