Il concorso esterno in associazione mafiosa ridotto a un più semplice favoreggiamento con conseguente dimezzamento delle pene e stop alle intercettazioni durante le indagini. Niente carcere per chi aiuta un mafioso nascondendolo, e perché venga condannato, gli inquirenti devono dimostrare che dalla sua azione di «sostegno» abbia ricavato un profitto. Sono i contenuti di un disegno di legge sul concorso esterno in associazione mafiosa presentato ieri in commissione Giustizia di palazzo Madama dal senatore di Gal (Grandi autonomie e libertà) Luigi Compagna, relatore Giacomo Caliendo del Pdl.

Il testo suscita un’immediata alzata di scudi da parte di tutti i partiti, dal Pd a Sel alla Lega, e tra i magistrati. «Finché non lo leggo non ci credo», dice il procuratore di Torino Giancarlo Caselli, mentre il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi definisce «scandalosa» la proposta: «Abbiamo una rinnovata pressione mafiosa – dice il magistrato -. Non si capisce a quale esigenza pubblica questa idea risponda. Di certo c’è che, facendo un po’ di conti, con questa legge i reati contestati a Dell’Utri sarebbero prescritti».Tali e tante reazioni che nel pomeriggio Renato Schifani annuncia il ritiro del testo. La proposta di legge, spiega il capogruppo Pdl al Senato, «è stata presentata dal senatore Compagna a titolo personale, gli ho chiesto il ritiro tempestivo della proposta ricevendone assicurazioni in tal senso».

Fatto sta che ancora una volta il tema giustizia agita il governo, dopo che la scorsa settimana il Pdl è tornato alla carica sulle intercettazioni. Da parte sua Compagna si difende parlando di «iniziativa personale». Il concorso esterno, spiega, è «un reato figlio della giurisdizione, che deve a pieno titolo trovare ingresso nella legislazione».
Oggi il concorso esterno in associazione mafiosa è punito con il carcere fino a 12 anni. Il testo depositato in commissione Giustizia prevede invece l’introduzione di due nuovi articoli: il 379-ter, riguardante il «favoreggiamento di associazioni di tipo mafioso», per «chiunque, fuori dai casi di partecipazione alle associazioni di cui all’articolo 416-bis, agevola deliberatamente la sopravvivenza, il consolidamento o l’espansione di un’associazione di tipo mafioso, anche straniera, è punito con la reclusione da uno a cinque anni». Norma che mette fine alle intercettazioni, possibili solo per reati che prevedono una condanna superiore a 5 anni.

Il secondo articolo, 379-quater, riguarda invece l’assistenza fornita ai mafiosi: «Chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione» al componente di associazione mafiosa, «al fine di trarne profitto», è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Pena che viene aumentata se l’assistenza è prestata in maniera continuativa. Di fatto significa l’esclusione del carcere, visto che il tetto previsto dalla legge per la reclusione è di quattro anni.

Se approvata, gli effetti della legge sarebbero stati molto vasti, visto che avrebbe avuto valore anche sui processi in corso. A partire proprio da quello riguardante Marcello Dell’Utri, l’ex senatore Pdl condannato il 25 marzo scorso a 7 anni dalla corte d’appello di Palermo e ora in attesa del giudizio della Cassazione. «Non siamo d’accordo», aveva detto subito il vicepresidente della commissione Giustizia del Senato Felice Casson (Pd) prima che venisse annunciato il ritiro del testo. «Anzi, c’è una nostra proposta che nella parte massima equipara il concorso esterno all’associazione mafiosa». Per quanto riguarda la possibilità che il ddl potesse favorire Dell’Utri, Casson era stato categorico: «I tempi saranno così lunghi che non salveranno assolutamente dell’Utri».

Un no secco alla legge anche da Sel: «Presentata alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci – aveva detto Francesco Forgione – la proposta è immorale e rappresenta un’offesa a tutte le vittime della mafia».