Da buono scozzese, ma nelle sue vene scorreva anche sangue irlandese per parte di madre, al pari degli antenati Celti sir Arthur Conan Doyle non deve aver mai dubitato che quella che separa il mondo dei vivi dai quello dei defunti sia una porta girevole. Convinto assertore delle tesi dello spiritismo, ancor prima di aver terminato il ciclo delle indagini del suo celebre detective aveva dato alle stampe all’inizio degli anni Venti del Novecento un trattato sulle Apparizioni delle Fate. Del resto, se nelle storie di Sherlock Holmes razionalismo e metodo deduttivo portano la luce nei territori oscuri dominati dal male e dalla superstizione, l’ultima stagione della vita del medico-scrittore sarebbe trascorsa tra massoneria, società segrete e un risveglio spirituale che sconfinava più o meno apertamente nell’occultismo.

Sir Arthur Conan Doyle

ATMOSFERE E RIFERIMENTI con i quali sembra giocare José Carlos Somoza, lo scrittore, psichiatra di formazione, nato a Cuba e cresciuto in Spagna, a cui si devono già Clara e la penombra (Frassinelli) e L’esca (Mondadori), in Uno studio in nero, pubblicato nella collana «Spettri» di Alter Ego (traduzione di Francesca D’Annibale, pp. 402, euro 18).

Narrata dall’infermiera quarantenne Anne McCarey, una donna all’apparenza insicura e prigioniera di un legame violento con un marinaio semi-alcolizzato, la vicenda proposta da Somoza assomiglia ad una trappola affascinante dove attirare i lettori che amano l’investigatore di Baker Street e il suo bizzarro creatore.

A Clarendon House, l’austera magione a metà strada tra il pensionato per ricchi lunatici e il vero e proprio manicomio che si affaccia sulla costa di Southsea, un sobborgo di Portsmouth, è ricoverato – ma in questo caso dato il lignaggio dell’uomo, si dice soltanto «ospite» -, un individuo misterioso che «suona» un violino fantasma e odia la luce del sole, di cui nessuno conosce l’identità. A visitarlo, sembra infatti soffrire di un problema alla vista, sarà chiamato un dottore appena arrivato in città che guarda caso si presenta come «Dottor Doyle»: è proprio in quella località del sud dell’Inghilterra che l’autentico Doyle cominciò a scrivere negli ultimi decenni dell’Ottocento le storie di Holmes in attesa che i pazienti cominciassero a frequentare il suo studio medico.

Gli Irregolari di Baker Street (Netflix)

MENTRE IN CITTÀ si susseguono le morti misteriose degli attori impegnati nelle pièce più in voga del momento – in attesa del cinema è su palchi spesso improvvisati o clandestini che si consumano i sogni e i fremiti di passione dei lavoratori come della classe media – quell’incontro si rivelerà decisivo.

Da un lato l’uomo senza nome farà emergere il talento nascosto del medico. «Il signor X è riuscito, non so come, a scovare nella mia povera interiorità frammenti della mia passione per la scrittura che, devo confessare, non condivido quasi mai, perché mi sembra che le cose che desideriamo davvero di rado vengano comprese dai nostri simili». Dall’altro sarà proprio il medico, o presunto tale, a coniare un’identità per lo sconosciuto paziente: Sherlock Holmes. «È il nome del detective che ho inventato, quello che somiglia al signor X. Gliel’ho detto questa mattina e gli è piaciuto. Mi ha chiesto il permesso di usarlo in privato solo con lei», confida all’infermiera.

E SARÀ PROPRIO nelle stanze di Clarendon House, dove nulla e nessuno sono ciò che sembrano, che si giungerà alla soluzione del complotto omicida che minaccia Portsmouth, mentre si annuncia la genesi di una fortunata saga letteraria.
Un’entusiasmante gioco delle parti che rimanda anche ad altri esperimenti intorno all’opera di Doyle, come la recente serie tv Gli Irregolari di Baker Street (Netflix), che conferma José Carlos Somoza come una delle voci più originali del poliziesco iberico.