Un anno fa, il 2 maggio, Valentino Parlato ci lasciava improvvisamente. Il fondatore e più volte direttore del manifesto se ne andò alle 10 di mattina, all’età di 86 anni.

In quei giorni di maggio lo vollero salutare e ricordare semplici militanti, importanti dirigenti della sinistra, passata e presente, amici e compagni. Lo volle salutare anche il presidente Mattarella, l’ex presidente Napolitano, e molti altri esponenti delle istituzioni.

Un addio corale che molti indirizzarono direttamente «a Valentino», lasciando perdere il cognome, come spesso scherzava lui quando qualcuno al telefono non capiva: «Sono Parlato, participio passato del verbo parlare».

Valentino, il brillante giornalista, il fine intellettuale, il forte economista. Che, a cavallo tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso, analizzava l’economia italiana a due anni dall’ingresso nel Mec, il mercato comune europeo.

Abbiamo scelto di ripubblicare una sintesi del suo saggio uscito sulla rivista del Pci, Politica ed Economia, proprio per soffermarci sulla sua grande capacità di capire la situazione del nostro paese.

E non è retorica sottolineare che, leggendo «Le due Italie nel Mec», si può ben vedere quanto fosse lungo e preciso il suo sguardo, nel prevedere le ragioni che accentuavano lo sviluppo ineguale, il divario strutturale tra Nord e Sud, sempre più grave e profondo.

Ma noi siamo rimasti orfani non solo di una guida politica e culturale. Che pure in questi momenti di crisi acuta della sinistra sarebbe ancora più preziosa. Ci manca anche un padre fraterno, un militante che, come scrive Luciana Castellina, metteva il collettivo, con le sue necessità, con le sue urgenze, al di sopra del proprio io.

Il giorno del suo funerale laico, tra i molti interventi, in un Campidoglio gremito, il professor Pierluigi Ciocca, suo estimatore e amico, lo salutò con un «Vale cercare ancora. Vale sempre», citando un libro di Claudio Napoleoni, Cercate ancora, la cui rilettura Valentino aveva con lui condiviso.

Cercare fuori dai luoghi comuni, con la curiosità propria di un giornale e di un collettivo che, nelle vicende difficili e dolorose delle sue numerose crisi e riprese, lo ha avuto accanto, più a lungo e più vicino tra i compagni del gruppo dei fondatori.

E che continua a sentirlo vicino perché quel che si è seminato per quarant’anni di vita insieme, sarà ancora per molte generazioni memoria comune.