Tutto si poteva pensare tranne che sarebbe bastata una virgola per mettere d’accordo e nello stesso tempo per ingannare i parlamentari che in questi giorni alla Camera hanno in esame la riforma della legge quadro sulle aree naturali protette.

Certo, non ci si poteva illudere che sull’impostazione generale – classificazione, pari dignità tra aree protette di terra e di mare, ruolo dei parchi, centralità della natura – i deputati accogliessero le critiche delle più importanti associazioni ambientaliste. Ci si aspettava però almeno un’apertura alle loro proposte sul sistema di governo dei parchi nazionali perché il testo sottoposto all’esame della Camera conteneva previsioni fortemente dequalificanti.
In particolare per il presidente quel testo richiedeva solo una «comprovata esperienza nelle istituzioni, nelle professioni, ovvero di indirizzo o di gestione in strutture pubbliche o private»: la conseguenza assurda era che per legge a presiedere un parco nazionale poteva essere chiamato anche chi non avesse avuto alcuna esperienza di tipo ambientale.

L’Assemblea ha creduto di porre rimedio approvando un emendamento, presentato all’ultimo momento, che ha aggiunto l’“esperienza in campo ambientale” e così ha accontentato tutti. Sennonché una virgola piccola e ingannatrice, inserita (chissà perché) dopo “campo ambientale” – il presidente deve possedere una «comprovata esperienza in campo ambientale, nelle istituzioni, nelle professioni, ovvero di indirizzo o di gestione in strutture pubbliche o private» – ha lasciato intatta quell’assurdità perché ha reso l’esperienza ambientale non già una clausola generale, cioè un requisito comunque necessario, ma una semplice alternativa agli altri requisiti (e ciò è confermato dall’ “ovvero” che qui è certamente disgiuntivo). Di conseguenza, se l’iter proseguirà (ma si prevedono tempi lunghi e perciò, nell’attuale fase politica, assai incerti), il Senato in seconda lettura dovrà almeno cancellare la virgola.

Quanto al direttore la critica era stata ancora più aspra e riguardava tre aspetti principali: il testo non risolveva il problema di fondo della qualifica, se cioè il direttore dovesse essere un naturalista, un ambientalista, un esperto in amministrazione, un manager; inoltre per partecipare alla selezione pubblica erano sufficienti una laurea in qualsiasi materia e una generica «esperienza professionale di tipo gestionale o ambientale» e pertanto, a causa di questa “o”, anche qui come per il presidente, poteva accadere che venisse nominato direttore chi non avesse avuto alcuna esperienza ambientale; infine la selezione, finalizzata alla scelta di tre nominativi, non era un vero e proprio concorso per titoli ed esami con un vincitore e una graduatoria, come avviene per la nomina dei dirigenti pubblici, con l’aggravamento che due dei tre componenti della commissione giudicatrice erano nominati dall’ente parco e che la scelta fra i tre nominativi veniva lasciata al presidente del parco.

Sulla qualifica del direttore si è acceso alla Camera un dibattito tanto più confuso quanto più infuocato e alla fine i deputati non si sono resi conto di avere approvato una norma che non dice assolutamente nulla. L’Assemblea, d’altra parte, ha provveduto a sanare il mancato riferimento all’esperienza ambientale mutando l’ “o” disgiuntivo in una virgola, certamente inelegante (molto meglio sarebbe stata una “e”), ma, questa volta, congiuntiva. La critica alle modalità di selezione, invece, malgrado la sua decisiva importanza, non è stata minimamente presa in considerazione.

Così, mentre oggi la legge prevede un’effettiva procedura concorsuale con veri titoli per accedere all’ “albo dei direttori” (che non è un chiuso albo professionale, come molti affermano, ma un semplice elenco di «idonei all’esercizio dell’attività di direttore di parco» ed è stato proprio il Ministero dell’ambiente a tenerlo chiuso perché non ha provveduto ad aggiornarlo rendendosi responsabile di una grave omissione che si ripercuote direttamente sul funzionamento dei parchi), con questa riforma il direttore sarà fabbricato in casa sulla base non di rigorosi criteri oggettivi, ma di motivazioni soggettive, legate a esigenze per lo più contingenti.

In conclusione, se guardiamo allo straordinario valore dei parchi nazionali e nel contempo consideriamo la complessità del ruolo del direttore, che oltre tutto è unico dirigente, non possiamo non essere allarmati per il futuro della conservazione della natura nel nostro paese.