Napoli è il Teatro San Carlo e il Conservatorio San Pietro a Majella. Da questi luoghi sacri era nata la canzone non del popolo ma della borghesia, quella che vide in Roberto Murolo l’ultimo vero cantore e compositore. Il tentativo di Renato Carosone e in parte dello stesso Murolo, di dare nuova linfa alla melodia napoletana, fallì ben prima della scomparsa dei due autori. Pertanto quando nel 1977 arrivò un album come Terra mia, il terremoto fu anticipato di tre anni e le scosse telluriche di quell’opera arrivarono ben oltre i confini napoletani. Il giovanotto che si permetteva di stravolgere, o meglio di rinnovare il linguaggio della canzone napoletana, era tale Giuseppe Daniele, detto per brevità e simpatia Pino.

Quello che successe con quel disco è leggenda; la storia di un gruppo di giovani incazzati che decidono di rispolverare le glorie di un conservatorio S. Pietro a Majella e di tutta una scuola che nel corso degli anni aveva colto solo il linguaggio più classico e anche retrò dei tantissimi linguaggi musicali. Insomma Pino Daniele, Enzo Avitabile, James Senese, Joe Amoruso, Tullio De Piscopo, Rosario Jermano, Rino Zurzolo stavano compiendo quella rivoluzione socialista che il popolo napoletano da tempo aspettava. Nasce il sound di un gruppo, di un folle chitarrista bluesman che aveva travalicato finalmente quei confini che da tempo non venivano varcati. Fu croce e delizia, amato o odiato in egual misura a Napoli, ma finalmente un musicista capace di rinnovare una tradizione. Un successo che con i due album successivi lo fa esplodere a livello nazionale. Con Pino Daniele (1979) e Nero a metà (1980) si compone infatti una trilogia esemplare del nuovo corso che stava prendendo strada. Ma è con Vai mò (1981) e Bella ‘mbriana (1982) che inizia l’inversione di marcia. Daniele non vuole essere il cantore napoletano ma vuole impossessarsi del suo linguaggio blues e lo fa attraverso due lavori di assoluta bellezza dal sound internazionale.

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Lo fa grazie anche all’aiuto di Willy David, geniale produttore che conterà non poco sulle aspettative di Daniele. Due dischi che saranno solo un passaggio verso il cambiamento che avviene in Ferryboat (1985), dove finalmente ai suoni elettronici tanto ricercati, Daniele unisce le sonorità orientali. In quest’album c’è un importante senso armonico, una ricercatezza di invenzioni che non ha pari e la passione di canzoni assolutamente diverse dalla sua stessa «normalità creativa». Per qualche verso sarà il canto del cigno e la sponda futura del suo percorso.
Bonne soirè (1987) è l’album della conferma e della chiarezza di un pensiero che è oramai lontano da Napoli e da tutte le beghe canzonettistiche di cui era fortemente malata. Schizzechea with love (1988) è il primo lavoro nel quale Daniele dà segni d’insofferenza creativa e l’intero sound prende una forma più articolata spingendosi verso linguaggi jazz. Con Mascalzone latino (1989) un’altra svolta ma ora Pino è entrato in una macchina che lo costringe a pubblicare ogni anno un lp a scapito dell’ispirazione.

Con il passaggio alla Cgd dopo vent’anni in Emi, Daniele diventa un brand commerciale da canzonetta estiva. Tanti album e milioni di copie vendute come mai gli era capitato prima in una carriera sempre baciata dal successo. Nasce la modesta ‘O scarrafone che sarà sì una metafora ma musicalmente è lontana migliaia di chilometri da Bella ‘mbriana o da Ferry Boat. Troppi compromessi e in mezzo – perla rara in anni bui – c’è anche l’omaggio a Massimo Troisi per il quale scrive le musiche di Pensavo fosse amore invece era un calesse con una delle sue canzoni più struggenti e malinconiche di sempre Quando (1991). Con Medina (2001) firma per la Rca e cambia finalmente aria, scrivendo un’opera interessante dove recupera quel sound d’oriente che lo ha reso sempre originale. E con Passi d’autore che la voglia di rinascita e di riscoperta invade la sua forza creativa, realizzando un album bellissimo in cui coniuga i suoni antichi e le riscoperte vocali partendo da quello che aveva inserito a sorpresa in Medina, quando eseguì con una sovrapposizione elettronica il madrigale di Carlo Gesualdo Principe di Venosa, Ahi disperata vita ghost track dell’album. Ma è l’ultimo guizzo creativo, i dischi a seguire sono solo dei tentativi di affannata ricerca, dove quello che era stato fatto era oramai ricordo lontano e quello che poteva divenire non era realtà.