Quello che colpisce nella filmografia di Emil Weiss è l’integrità progettuale. Nella sua carriera il documentarista francese classe 1947 non ha mai smesso di interrogare testimoni, sopravvissuti e studiosi ma anche cineasti per ridisegnare la mappa della follia nazista, lontano dalle sirene dei circuiti turistici e festivalieri. Lo abbiamo incontrato nel corso della presentazione del suo sconvolgente esordio Falkenau, vision de l’impossible (1988) al museo della Fabbrica di Oskar Schindler a Cracovia dove Weiss si era recato per realizzare delle riprese aeree dai siti di Auschwitz e Birkenau: spazi diventati ormai dei musei a cielo aperto dal percorso turistico predefinito. Questi luoghi-simbolo della produzione del Male nel ventesimo secolo, non sono forse anche degli esempi di architettura industriale? Secondo la storica francese Annette Wieviorka, le testimonianze di questi siti saranno presto cancellate da nuovi stabilimenti industriali legati allo sviluppo economico dell’Alta Slesia.

 

A discapito della sua formazione da architetto, il cineasta francese avevo scelto di impegnarsi con costanza nella promozione della cultura ebraica nella Parigi dell’era Mitterand funestata da un “biennio di piombo”. Il 29 marzo 1985 tutto cambia con l’attentato al cinema Rivoli-Beaubourg durante una proiezione al Festival del film ebraico organizzato dallo stesso Weiss. Non ci sono vittime tra gli spettatori dell’azione rivendicata dalla Jihad Islamica. Ma un anno dopo, uno dei 18 feriti si toglierà poi la vita. Il cineasta francese non si perde d’animo e decide comunque di organizzare anche l’edizione successiva. Dopo il sanguinoso attentato in Rue de Rennes davanti alla sede del settimanale “Le Point”, preferisce abbandonare definitivamente la spugna.

 

Ma è l’incontro decisivo con Samuel Fuller che lo convince infine a passare alla macchina da presa. La censura distributiva, nonché la condanna morale nei confronti del suo pamphlet antirazzista Cane bianco (White Dog, 1982) – la cui regia era stata affidata in origine a Polanski – avevano infatti spinto Fuller a trasferirsi a Parigi. L’intesa tra i due è immediata. Il primo progetto di Weiss realizzato con la collaborazione di Yann Lardeau, penna dei Cahiers du Cinéma nasce da una riflessione sul primo filmato in assoluto girato da Fuller utilizzando una cinepresa 16mm Bell & Howell. Durante la sua esperienza al fronte Il regista americano aveva infatti filmato la liberazione di Campo di concentramento di Flossenbürg in cui Fuller era sopraggiunto insieme ad una divisione del Big Red One.

 

Falkenau, vision de l’impossible rimane una delle testimonianze filmate più raccapriccianti sull’orrore nazista insieme a quel che resta del documentario di propaganda hitleriana Terezin: Un documentario sul reinsediamento degli ebrei (1944). L’evento filmato e commentato da Fuller mostra la scoperta e il seppellimento delle vittime imposto dal capitano Richmont agli abitanti di Falkenau per espiare le proprie colpe e ridare dignità alle salme: i notabili della cittadina boema si erano infatti resi colpevoli di aver tollerato le atrocità commesse a poche centinaia di metri di distanza dalle loro case. Uno episodio che avrebbe forgiato la visione morale della Storia da parte di Fuller. In Verboten, forbidden, proibito (1958) il cineasta si spingerà persino a portare per il suo valore pedagogico il processo di Norimberga nel cinema di finzione. Una caratteristica che tuttavia ritroviamo spesso tra le pieghe delle convenzioni di genere in tutta l’opera fulleriana.

 

“Non mi è mai passato per la testa di abbandonare il cinema documentario, continuerò per la mia strada”, confessa senza esitazioni Weiss. In qualità di spettatore il documentarista transalpino ha visionato moltissime pellicole sul tema: “Nella maggioranza dei casi, i campi di concentramento svolgono soltanto la funzione decorativa per offrire uno sfondo storico. L’uomo del banco dei pegni resta uno dei pochi di film riusciti sull’argomento”. Nel film di Sidney Lumet, Rod Steiger interpreta il ruolo di un ebreo tedesco tormentato dal proprio passato che si ritrova a gestire un negozio di pegni a Harlem dopo essere sfuggito ad un lager. Nella pellicola di Lumet vengono utilizzati nel montaggio numerosi inserti per creare dei brevissimi flashback che irrompono nella quotidianità ritrovata oltreoceano dal protagonista.

 

Se gli orrori del passato non possono essere ricostruiti attraverso il cinema di finzione, almeno vale la pena tentare di raccontarne le conseguenze nel presente, sembra dire Weiss. La discussione poi scivola sull’articolo Dell’abiezione (1961), celebre invettiva di Jacques Rivette contro il film di Pontecorvo condannato per la rappresentazione estetizzante e auto-compiaciuta del Male nell’epilogo. “Condivido la posizione Rivette. Ma vale la pena sottolineare che ci sono anche altri aspetti moralmente discutibili nel cinema mainstream”. Weiss fa l’esempio dei meccanismi della suspence. “In Schindler’s List, Spielberg lasciare credere per un attimo allo spettatore che i tubi delle docce utilizzate dai bambini non siano lì per lavarli”.

 

Negli ultimi anni Weiss ha continuato a realizzare dei documentari dai luoghi del Male con la consulenza di Wievorka. Sonderkommando : Auschwitz-Birkenau (2007), Auschwitz premiers témoignages (2011) e Criminal Doctors, Auschwitz (2013) mostrano come il documentarista francese sia riuscito a coniugare il rigore e la sobrietà di Claude Lanzmann senza rinunciare, laddove possibile, a quegli sprazzi di poeticità sommessa che rendono Notte e Nebbia di Resnais un’opera ineguagliabile.

Secondo Godard nel Novecento si è assistito al tentativo di democratizzare l’Orrore. Il cinema documentario di Weiss si offre quale tentativo di restituircene a posteriori la geografia.