Ferentari, periferia di Bucarest, è uno di quei luoghi in cui sognare una vita migliore è un vezzo da borghesi. E, Sami, 13 anni, non era certo un’eccezione. Un padre che faceva dentro e fuori dalla prigione, una madre che si era lasciata morire di Aids, una sorella piegata dalla tossicodipendenza, Sami ne aveva viste troppe per permettersi ancora di sognare. Eppure da quando aveva conosciuto il campione del mondo aveva iniziato a declinare i verbi al futuro. «Da grande voglio fare Paolo Rossi» diceva con l’aria da furbetto quel ragazzo venuto dall’inferno.
È successo un’estate di due anni fa. L’idea era venuta a Michela Scolari, produttrice e regista del biopic Paolo Rossi – A champion is a dreamer who never gives up. Scrivere la storia di quel giocatore venuto su senza mezzi ma con un grande sogno, le aveva ricordato i ragazzi invisibili cresciuti per le strade di Bucarest. Scolari conosceva bene quella realtà fatta di piccoli riscatti e crudeli ricadute e così si era messa a lavoro per cercare qualcuno che potesse interpretare Rossi da bambino.

LA SCELTA ricadde su Sami e lui, il campione, volò con la sua famiglia a Bucarest per conoscerlo. Era bastato un attimo perché Rossi e sua moglie Federica Cappelletti si innamorassero di quel bambino che si aggirava in un quartiere in cui persino la polizia non si arrischia ad entrare, con una sicurezza che faceva a botte con il suo corpo fragile e minuto.
Quel viaggio lo ricorda bene Franco Aloisio, responsabile di Parada, l’associazione che dal 1996 cerca di strappare al loro destino i ragazzi di strada di Bucarest. «C’era una grande emozione mista ad incredulità quel giorno. Non riuscivamo a credere che davvero Paolo Rossi fosse qui, con noi, a camminare nelle periferie di Bucarest. Paolo era un mito che andava ben oltre il calcio. Quello che ti colpiva di lui era la semplicità e la straordinaria umanità con cui si approcciava agli altri».

LA STORIA di Sami lo aveva colpito al punto di volerlo portare con sé in Italia per dargli quell’opportunità che lui aveva avuto dalla vita. Sami sarebbe dovuto arrivare in Italia quest’anno grazie a una borsa annuale della Paolo Rossi Academy, la scuola di calcio fondata dal campione pratese. Era quello l’obiettivo prima che il covid ci confinasse nelle nostre case. «Abbiamo tutti diritto ad avere una possibilità nella vita, a prescindere dalle nostre origini». Paolo Rossi le sue non le aveva mai dimenticate. Non aveva dimenticato la sua famiglia, umile, ma dalle radici ben salde, i sacrifici che aveva fatto per arrivare alla notte magica dello stadio Bernabeu, né aveva dimenticato la sua infanzia passata a giocare a calcio per strada con due pietre a fare da porta.
«La fame ti fa venire il desiderio di arrivare ovunque, perché quando parti dal basso non puoi far altro che risalire. Il messaggio che vorrei che passasse è questo: anche un ragazzino di Ferentari può fare qualsiasi cosa della sua vita. E poi davanti a un pallone siamo tutti uguali, forse è un po’ questo il segreto dello sport».