Tra pochi giorni saranno disponibili i nuovi dati dell’Agcom sui tempi concessi ai soggetti politici dalle varie reti pubbliche e private. Sarà interessante leggerli, anche perché sino ad oggi quei dati appaiono preoccupanti. Gli ultimi, di gennaio, erano chiarissimi. Prendiamo il tempo di parola, forse il più significativo, cioè il tempo in cui un soggetto parla direttamente in voce: il Pd e il premier occupavano con le loro dichiarazioni più del 31% dei tg pubblici, oltre il 42% di quelli Mediaset, il 40% di SkyTg24 e il 38% del TgLa 7.

Sommando a questi numeri quelli riservati a ministri e/o sottosegretari, si sfioravano percentuali del 50% su Rai, su Mediaset e su La 7, addirittura del 60% su Sky. Nota bene: SkyTg24 si affermava come il più filogovernativo dei tiggì (45% al premier e al governo), seguito da TgCom24 (39%) e Studio Aperto (34%), mentre non sfigurava il Tg5 (31%). Tra i tiggì pubblici il vituperato (dai renziani) Tg3 si mostrava il più generoso sia verso il Pd che verso Renzi, cui regalava rispettivamente il 19 e il 18 % dello spazio di parola, superando nettamente i suoi omologhi sulla prima e seconda rete, ma senza disdegnare il governo (11,6%).

Sia nell’uno che nell’altro caso lo squilibrio con le altre forze risultava evidente. Tuttavia, c’è da dire, a gennaio era andata molto meglio che a dicembre.
Nel mese di Natale, gli stessi dati avevano offerto numeri incredibilmente sbilanciati. In Rai e su La 7 circa il 60% del tempo di parola era stato appaltato al Pd, al premier e al governo (percentuali simili a quelle che le reti Mediaset dedicavano un tempo a Berlusconi e alla sua maggioranza); sui canali dell’ex Cavaliere si era «solo» al 48%, mentre Sky aveva fatto addirittura sognare il renzianissmo guardiano delle tv Anzaldi, con numeri schizzati oltre il 70% (al solo premier e al Pd era andato il 53% del tempo di parola!). Non molto diversa, se facciamo attenzione alle tabelle Agcom, era stata la situazione sia a novembre che ad ottobre, con cifre di poco inferiori a quelle di dicembre e sempre con il tg di Sky saldamente in testa in una virtuale gara allo specchio del chi è il più filogovernativo del reame.
È il panino, bellezza, qualcuno dirà: il benedetto panino, tripartito (30 alla maggioranza, 30 al governo, 30 all’opposizione), come da vetusta consuetudine. Macché. Se si guardano i numeri delle opposizioni nei telegiornali Rai dell’ultimo trimestre dell’anno scorso, il panino sa di poco: siamo infatti intorno al 20% del tempo di parola o anche meno, un dato che soltanto a gennaio e dopo lunghissimo tempo è stato in lieve risalita (25%). A Mediaset il panino è addirittura bandito dalla tavola, visto che una opposizione sovra-rappresentata (dal 35% al 45% dello spazio) parla soprattutto per bocca di Forza Italia.
Andando ancora a ritroso i dati poco cambiano. Limitandoci alla Rai le tabelle, ad esempio, di novembre 2014 testimoniano che la percentuale appannaggio delle opposizioni è molto bassa (M5S+ Pdl, Fi+Lega+Sel +FdI = 20,5%); se si dà una scorsa a quelle di ottobre il dato è di poco superiore.

Sono cifre inedite nella pur travagliata storia della comunicazione politica in Rai, visto che le stesse opposizioni a novembre 2013 (c’era Letta premier) sommavano sulle reti pubbliche quasi il 30% del tempo di parola; visto che lo stesso anno a maggio e a giugno si arrivava al 28%; e visto pure che con Berlusconi al potere, ad ottobre del 2010, cioè in un tempo dove il tasso di pluralismo nel paese era giudicato, e a ragione, molto basso, le opposizioni si attestavano ancora sul 27% (idem l’anno prima nello stesso mese).
Se le cose stanno così in Rai, mentre Mediaset continua a fare da megafono al suo padrone e Sky tira la volata al premier, non è che la somma delle anomalie del sistema aggiusti le cose: semmai le peggiora.
Aspettando i dati di febbraio, un problema c’è, già evidente. Dentro la Rai e fuori di essa. Parliamo di pluralismo nell’informazione. Prima con Berlusconi. Ora con Renzi.