Il 2017 è stato un anno eccezionale per le Borse a livello globale. L’inizio del nuovo anno sembra confermare tale tendenza. Ottimismo ed esuberanza ormai sono dati incontrovertibili, buona parte degli operatori ipotizzano un ciclo ulteriormente positivo che potrebbe durare ancora tre anni.

L’inflazione resta bassa, dunque le banche centrali diluiscono i loro progetti di normalizzazione monetaria, ed è in corso persino una ripresa degli investimenti.

La Borsa statunitense prosegue una corsa positiva ininterrottamente da 14 mesi. A ciò si aggiungano le scelte politiche e fiscali di Trump pro impresa e pro business che prefigurano una facilitazione per un’ulteriore fase espansiva.

Sempre nel 2017 la capitalizzazione in Borsa a livello globale è stata maggiore del Pil.

Un tale sorpasso si era realizzato solo nel 2007. Cioè la finanza, nella sua dimensione più ristretta e ufficiale, sorpassa l’economia reale in termini assoluti.

Nonostante tutto questo, l’Economist accenna ancora a una fase di «stagnazione secolare o crescita debole cronica».

La paura deriva non tanto da una stabilizzazione che appare ancora incerta, quanto dal modo con cui si è raggiunta. La politica monetaria dei banchieri centrali ha determinato una irresistibile spinta al rilancio del debito. Quel debito che neppure troppo paradossalmente è stato la causa della Grande Crisi del 2008. Il rimedio è stato l’assunzione in dosi ancora maggiori, seppur iniettate in forme diverse, del medesimo male.

Tutti i rapporti di questi ultimi dieci anni ribadiscono la crescita del debito globale.

L’ultimo proviene dal Global Debt Monitor di gennaio dell’Institute of International Finance, dove si afferma che al terzo trimestre del 2017 il debito globale, cioè la somma di quello privato e di quello pubblico, è giunto all’incredibile cifra di 233.000 miliardi di dollari, cioè è aumentato in termini assoluti rispetto al 2016 di ben 16.500 miliardi.

Se poi si analizzano gli ultimi dieci anni, praticamente quelli iniziati con la crisi di Lehmann Brothers, l’aumento è stato pari a 71.000 miliardi di dollari.

È sufficiente pensare che ogni anno il Pil mondiale si attesta all’incirca sui 77-78.000 miliardi per comprendere come la turbofinanza costituisca l’impalcatura attraverso cui si è rilanciato il sistema.

Nel 2017, infatti, torna a diminuire il debito in rapporto al Pil mondiale. L’andamento dei debiti, però, non risulta uniforme.

Nei paesi maturi quelli sovrani sono aumentati, mentre sono diminuiti quelli privati, in tanti paesi emergenti sono aumentati entrambi.

Quest’ultima tendenza dà la misura dei processi in corso. Non c’è economia reale che tenga, tutti crescono attraverso espedienti finanziari e l’esplosione del debito.

Anzi, l’economia reale si riprende unicamente come effetto collaterale della ripartenza della turbofinanza.

La Cina costituisce un caso significativo.

Sul «Sole 24 Ore» recentemente è stato scritto che la crescita economica cinese «poggia su una grande, sterminata, muraglia di debiti».

Al netto della difficoltà a reperire dati del tutto attendibili, quello che emerge è una poderosa crescita dell’indebitamento privato al consumo, aumentato nei soli ultimi due anni di ben 35 volte. Certo in termini assoluti stiamo parlando ancora di cifre piuttosto contenute, ma che danno il senso della direzione di marcia di un modello di sviluppo.

Vanno aggiunti poi i crediti deteriorati, quelli di cui tanto si è parlato per l’Italia, che si attestano su oltre 250 miliardi di dollari.

Infine c’è il debito pubblico che le stime ufficiali indicano superiore ai 4.600 miliardi di dollari, nel quale però non viene conteggiata quella costellazione di debiti degli enti locali che contribuisce a sorreggere l’economia.

Complessivamente, stando ai dati forniti dal governo, il debito aggregato, quello di Stato, imprese e cittadini, è pari al 257% del Pil.

Una crescita fondata su una scommessa sul futuro, chi la vincerà?