Capitolazione rispetto alle previsioni della Nota al Def e della prima bozza di manovra e assoggettamento del Paese alla vigilanza della Commissione per i prossimi tre anni. La procedura di infrazione è stata evitata, ma il prezzo pagato dagli italiani è altissimo. I commissari europei hanno concesso al governo «sovranista» di sventolare alcune bandierine da qui alla prossima campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo, in cambio dell’iscrizione di una pesante ipoteca sugli esercizi successivi a quello cui la la manovra si riferisce.

LA CURA DIMAGRANTE imposta alle previsioni di bilancio è vistosa (10,2 miliardi, dei quali 2,7 dal fondo per le pensioni e 1,9 da quello per il reddito di cittadinanza), ma è niente rispetto alla cambiale che il governo ha sottoscritto per l’intero triennio. La clausola di salvaguardia su Iva e accise viene sterilizzata soltanto per il 2019. Per gli anni a seguire (2020-21), la stessa, rivista al rialzo, farà da barriera a qualsiasi intento «espansivo» del governo. Sarà un cappio al collo del Paese che si stringerà automaticamente qualora si decidesse di non rigare dritto, secondo le regole europee.

I numeri sono da brividi. 23 miliardi nel 2020, addirittura 29 l’anno successivo (l’aliquota agevolata, ora al 10%, passerebbe dal 2020 al 13%, mentre quella ordinaria, oggi al 22%, salirebbe nel 2020 al 25,2% e nel 2021 addirittura al 26,5%). E non è tutto. Sempre dal 2020, ci sarà un aumento delle accise per un valore di 400 milioni di euro all’anno (alla faccia del taglio promesso da Salvini).

FINITA? MACCHÉ. Ci hanno detto che lo stanziamento per il reddito di cittadinanza (misura giusta in linea di principio ma congegnata male) era «sovrastimato» nella prima bozza della legge di bilancio, perché calcolato per l’intero anno.

Partendo da aprile, secondo i «nuovi» calcoli, sei miliardi dovrebbero bastare a coprire il costo della misura. Il che porterebbe a concludere che per gli anni successivi di miliardi ce ne vorrebbero di più. E invece no. Lo stanziamento si riduce di circa un miliardo nel 2020 e di 683 milioni nel 2021. Avranno calcolato che migliaia di persone troveranno un lavoro in poco più di sei mesi proprio «grazie» al sussidio di povertà. La fantasia al potere.

NON VA MEGLIO sul versante degli investimenti, quelli che avrebbero dovuto sostenere la crescita e l’occupazione. Il taglio è draconiano: 4 miliardi in meno, tra Fondo investimenti delle amministrazioni centrali, Fondo Sviluppo Coesione, cofinanziamento dei fondi europei e fondi per le Ferrovie dello Stato.

DUE MILIARDI (tra vari ministeri), invece, saranno congelati a titolo «cauzionale», per coprire eventuali sforamenti del deficit nominale ritoccato al 2,04% (di fatto al 2%, perché i quattro decimali non si calcolano). Potranno essere sbloccati solo dopo l’esito positivo di una seconda verifica sull’andamento dei conti pubblici fissata a luglio.

E POI, DISMISSIONI (1,25 miliardi in tre anni), blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, tagli all’adeguamento all’inflazione per le pensioni sopra i 1500 euro, abrogazione del credito d’imposta per l’Irap e azzeramento di quello per l’acquisto di beni strumentali, tassa dei rifiuti nella bolletta della luce per i comuni in dissesto. Misure che fanno la differenza, al netto di provvedimenti giusti, ma solo in termini simbolici, come il prelievo sulle pensioni d’oro (76 milioni) e la tassa sui «colossi del web» (150 milioni).

Rigore finanziario (o «austerità», se rende meglio l’idea) che, nel triennio, dovrà tradursi in risparmi per un valore di 38,4 miliardi di euro. Un risveglio amaro per milioni di italiani, dopo mesi di propaganda sovranista un tanto al chilo (costata 1,5 miliardi di euro di interessi in più solo quest’anno).

VINCE il fiscal compact (e i mercati). Dalla promessa di un deficit nominale al 2,4% «per tre anni», come medicina contro la stagnazione, si è arrivati a stimarne una discesa fino all’1,5% nel 2021. Significherà che il «deficit strutturale» (al netto dei fattori ciclici e delle misure una tantum), quello che vale veramente per l’Europa, dovrà avvicinarsi il più possibile allo zero.
Osservati speciali. Nessun ufficio della Troika a Roma, per carità, ma un Paese sottoposto al controllo rafforzato delle istituzioni europee per i prossimi tre anni. Il sovranismo italiano, alla prova decisiva, si è rivelato una «tigre di carta».