Bébé gigante. Roseo. Rotondo. Rasato. Come un Bacco di fontana, panciuto e ombelicato. Sotto l’orgoglio solare del pancione, i pantaloni-pigiama di seta neri arrotolati al ginocchio, lasciando scoperti polpacci e piedi, anch’essi, come il resto, nudi. Dal fondo della cucina spaziale nel suo super-loft parigino (l’hôtel particulier in rue du Cherche-Midi, acquistato 23 anni fa per 25 milioni, già messo in vendita per 50), Gérard Depardieu avanza : a 69 anni, è il 3D della copertina dell’autobiografia Innocent, edita da Cherche Midi, dove dilaga la sua impudica innocenza corporea, sostituita nelle italiane Edizioni Clichy da una sobria immagine delle origini, lui magrolino e capello spiovente. Nell’incontro di quasi tre ore, su sfondo, da una parte, d’imponente affettatrice e bar all’americana e, dall’altra, di quadri accatastati (« li tengo vicino a me, non li appendo : li ammucchio e ogni tanto ne tiro fuori uno, che chiede di uscire, lo sistemo, poi, quando se ne vuole di nuovo andare, lo rimetto con gli altri. Mi piace acquistare opere d’arte, ma non son collezionista, vado per colpi di fulmine – Odilon Redon, Rodin, Calder, Germaine Richier – che non riesco a spiegare. E perché spiegare? Non sono Godard »), l’attore sarà una bulimia di parole e ricordi. Circondato da libri di storia delle religioni, ne biascica citazioni, qua e là, per tornare allo stesso punto : « Va bene qualsiasi credo : basta che la religione non diventi potere politico ». Evoca Woytila (« papa politico : come tuttti ») e le Confessioni di S.Agostino, di cui è stato grande interprete, pure in Italia, in teatri e chiese (anche a Notre Dame), per ripetere, con uno sghignazzo, l’invettiva : « Chi sei Tu, che mi obblighi a credere ? ». E commenta : « Dio è Walt Disney : un disegno animato ». S.Agostino gli serve, nell’autobiografia, per parlare del tempo ma anche del vino : « Per me il presente è la sola eternità. Come faccio a sostenere il mio ritmo di vita, a esser sempre in partenza, sempre da un’altra parte ? Tre giorni su un set, poi nell’altra metà del pianeta per controllare le mie vigne, poi altra metà pianeta per occuparmi d’una casa… tutto questo mi dà vita, un istante scaccia l’altro, cancella la stanchezza ». Siamo all‘io’ : « Si dice che sia un attore : ma non sono un attore. Non ho mai voluto fare teatro, neanche film. È stata la vita a obbligarmi. Altrettanto bene avrei potuto fare il ladro d’auto, aprire ristoranti, diventare affarista ». Sono le sue pagine che parlano : « Fare teatro o cinema è stato il miglior espediente per non lavorare. Ecco la mia vocazione : non avevo voglia di lavorare, ma di vivere. Vino, film, cucina : non ho mai lavorato, ho solo vissuto, vissuto, vissuto ». Una vita libera, talora ingombrante, come … proprio in quel momento arriva una telefonata dalla ‘sua’ Mosca (ha rinunciato nel 2012 al passaporto francese per quello russo, è stato voce recitante di Небо молчит : ‘Il cielo tace’) : « Il russo lo leggo, non lo parlo », ma subito recita in russo un testo per musiche di Prokofiev. « Continuate a rompermi le scatole con Putin – è il suo sfogo su Innocent –. La mia Russia non c’entra con la politica. Son cresciuto con i suoi scrittori, ho imparato il francese grazie alla sua letteratura : a 12 anni, il primo libro è stato I racconti di un pellegrino russo. Mi aveva attratto perché d’autore anonimo : anch’io ero un anonimo. È un amore che sento ricambiato : in Russia avvertono la mia parte moujik, il mio modo di strappare la vita. Già Bernardo Bertolucci, per Novecento, mi ha preso perché cercava una faccia da russo ».

Ecco l’Italia, finalmente : l’Italia ‘di’ Depardieu. Quel cinema – di Bertolucci, di Ferreri, ma anche di Monicelli, di Tornatore – che, senza Depardieu, sarebbe stato meno sanguigno, meno ‘italiano’. E che Depardieu ha anche contribuito a far esistere, producendo o coproducendo film d’autore, come quelli di Mimmo Calopresti.

Novecento restaurato sarà ora riproposto a Venezia. Quali impressioni conserva del suo esordio da noi a metà anni 70 ?

Che energia nel vostro cinema in quegli anni ! Quanti intellettuali, Bellocchio, Pasolini, Moravia, Bertolucci … ! Da voi, allora, il cinema era un ribollire di psicoanalisi ! Novecento è stato un’epopea in cui è esplosa tutta l’energia del cinema italiano dell’epoca.

L’Italia era anche al centro di tanto cinema Usa, quello di Coppola, per esempio…

Per me l’americanissimo Coppola è un italiano : anzi, un siciliano, tutt’uno con l’opera lirica. Il suo Padrino 3 è una denuncia dei traffici bancari del Vaticano. Chissà che Benedetto XVI non abbia abdicato per il troppo peso del passato … Non dimentichiamo i tanti cadaveri nell’armadio della Santa Sede : gli intrallazzi di Andreotti con la Chiesa, la protezione ai medici nazisti…

Qual è stata la sua Italia cinematografica ?

Tra Bertolucci e Ferreri, tra Novecento e L’ultima donna, ho trascorso a Roma un anno magnifico : fatto di… quindici mesi. Non solo a Cinecittà ma ovunque incontravo tutti : Donald Sutherland che dopo Novecento stava girando il Casanova di Fellini, Burt Lancaster che per amicizia era andato a trovare Luchino Visconti sul set dell’Innocente…Roma era allora crogiuolo mondiale del cinema. A Cinecittà trovavo Fellini (ne imita la voce) e ho stretto amicizia con Marcello Mastroianni, ancora tutto preso da Faye Dunaway.

Nella personale di 50 film alla Cinémathèque, Serge Toubiana ha riconosciuto un posto centrale a L’ultima donna. Come ha conosciuto Ferreri ?

È lui che mi ha avvicinato. Un giorno, per strada.  Camminava con le mani dietro la schiena (ne imita l’andatura), la mini-barba da senatore. ‘Sei temerario ? (ne imita la voce aspra) : vuoi interpretare uno che si taglia il pisello ?’. Ed eccomi ingegnere disoccupato, con 15 chili in più, alle prese con un bébé, con Ornella Muti e le altre, tutte invasate dal movimento di liberazione femminile. Alla scena con coltello elettrico in mano, Marco mi dice che devo essere in erezione. Nessun problema : m’ero già fatto filmare così nelle Valseuses di Blier, mio primo vero ruolo nel ‘74, e in Novecento, nella sequenza sul lettone con Robert De Niro e Stefania Casini in mezzo. Ma stavolta è stato grottesco, perché per aiutarmi con la fellatio han reclutato un travestito cinquantenne. Un disastro : io inibito, il travestito in lacrime per l’insuccesso, Luciano Tovoli desolato con la cinepresa frustrata.

Ricordi altrettanto sulfurei per Ciao maschio ?

L’abbiam girato a New York, non lontano dalle Twin Towers, inaugurate appena qualche anno prima. Andavamo spesso al Club ’51, covo di Andy Warhol. La preoccupazione pricipale di Marco era la scimmietta, mia vera partner. Dove stavamo, c’erano topi lunghi così : tutti, Marco, Marcello, io, la scimmietta, al Navarro Hotel, dove soggiornava in quel periodo anche Sergio Leone. Mi ricordo che Marco s’era impuntato, per avere la camera un piano sopra Leone…

Suo pane quotidiano è sempre il cinema : quest’anno Le divan de Stalin di Fanny Ardant, in anteprima al Bif&st di Bari. Ma è anche l’anno di Barbara. E lei, subito in scena, nei dischi…Perché ?

Nell’86 – 31 anni fa – siamo stati insieme in Lily Passion, che abbiamo portato anche in Italia. Per me, adolescente, ascoltata alla radio, Barbara era stata prima di tutto una voce : più forte di Jacques Brel. A Parigi, alle Bouffes du Nord, l’ho ricordata con uno spettacolo e adesso con un cd, dove riprendo sue canzoni. La musica mi ha sempre calamitato, come,  20 anni fa, Zucchero, con Un piccolo aiuto. Ma, con Barbara, è stato altro. Come ci siamo conosciuti, abbiamo cominciato a scambiarci ferite e risate : molto simili, unicamente nostre. Ricordo bene gli ultimi momenti trascorsi insieme : voleva fare un film con me. È scomparsa in novembre, 20 anni fa. Ma per me non è morta. Mai. È sempre con me.

  1. Continua. Puntate precedenti : Jacques Perrin (21/VII)- Jean-LouisTrintignant (28/VII)- Alain Delon (5/VIII)