Dopo un week end finito in aceto per Renzi, fra un’intervista a Repubblica sprezzante sulle sinistre e una festa di compleanno del Pd in cui ha dato dei «traditori» ai fuoriusciti della Ditta Bersani&D’Alema, in combinato disposto con gli inquietanti risultati delle elezioni austriache – è Walter Veltroni a correre ai ripari. Il fondatore del Pd, tornato in campo nei panni del volenteroso salvatore, vede la mala parata, cambia marcia e lancia un messaggio a favore dell’alleanza di centrosinistra, lui che nel 2008 non ne aveva voluto sapere: «La sinistra deve ritrovare l’umiltà dell’unità: siamo in grado di competere con il centrodestra se ci uniamo», dice a Radio Capital, «il Pd dovrebbe recuperare il rapporto con Campo progressista e Mdp, solo questo ci permetterebbe di andare ben oltre l’attuale 26 per cento», indicato da un recente sondaggio, «è un problema di volontà politica, capacità di inclusione e di disponibilità degli altri».

IL MESSAGGIO È RIVOLTO alla sinistra del Pd, ma soprattutto allo stesso Pd. Anzi al suo segretario che «umile» non è anzi teorizza unioni variegate con alleati «nanetti» ai collegi più che vere coalizioni.Alla vigilia della partenza del treno elettorale di Renzi (stamattina dalla stazione di Roma Tiburtina) Veltroni è esplicito: «Mi auguro che sul treno di Renzi ci siano ago e filo a sufficienza per una ricucitura».

A RENZI, DEL RESTO, l’esplorazione di Veltroni è utile. I sondaggi non vanno bene, in Sicilia sono addirittura disastrosi. La boria del Pd autosufficiente, quella che gli viene naturale – aspettando il voto siciliano – non paga. Con qualcuno dei suoi ammette una repentina disponibilità al dialogo. Impensabile fino a qualche ora prima. Persino sulla questione della leadership ostenta possibilismo: è vero che le primarie assegnano a lui la candidatura nel Pd, ma sul punto si vedrà, «il leader è chi prende più voti». Tanto, anche nella sconfitta, a occhio si tratta sempre di lui.

MA LA PROVA DEL NOVE della sincerità dell’apertura alle sinistre (che del resto il foglio Velina rossa definisce «tranello») è la legge di bilancio licenziata ieri dal Consiglio del ministri. Carta canta: delle richieste di Mdp e di Campo progressista non c’è traccia. E così persino per Gentiloni il sì degli ex Pd è ipotesi lunare: «Dal punto di vista dell’auspicio, sicuramente sì. Da quello della realtà, vedremo». A stretto giro i dubbi sono fugati: «La fiducia sulla legge elettorale è un punto di non ritorno nei rapporti col governo», dice Roberto Speranza. Quanto alla manovra, «non vediamo risposte adeguate su sanità, lavoro e pensioni. È questo il motivo per cui non siamo noi fuori dalla maggioranza, ma siamo stati sbattuti fuori», chiude la partita il capogruppo alla camera Francesco Laforgia.

SUL FRONTE PISAPIA, i toni sono diversi. Ma la sostanza no: «Le parole di Veltroni, ma anche quelle di Emanuele Macaluso (ieri sul Fatto auspicava il ritorno all’alleanza, ndr) , sono condivisibili. Ma sono lontane da quelle di chi interpreta la coalizione come Biancaneve e i sette nani, padroni e maggiordomi», dice Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della regione Lazio. «Il testo della manovra, che non accoglie neanche una proposta del nostro pacchetto dimostra che il gruppo dirigente del Pd insiste sulla vecchia autosufficienza senza rendersi conto della disfatta che si prepara. Noi non ci arrendiamo, chiediamo discontinuità nel campo delle politiche per il paese e della leadership per le elezioni».

E SE VELTRONI FA la parte del poliziotto buono, c’è Orfini che si incarica a fare quella del poliziotto cattivo. Che di Pisapia e compagni non vuole sentire parlare: «C’è una canzone degli Zen Circus che mi pare adatta: dice ’tu libera e felice vai, mi ritrovi dove sai». Il modo di ragionare di Pisapia gli ricorda «quello di vent’anni fa, quando micro-partitini ponevano veti sulle leadership». Le primarie che assegnano la candidatura a Renzi sono il suo punto di non ritorno, «cerchiamo l’unità, ma su un progetto omogeneo, fare alleanze solo per vincere non ha senso. Faccio fatica a pensare di allearmi con chi chiede al Pd di scusarsi per quanto fatto in questi anni di governo».