Cambierà Cuba, e come, dopo la visita di Obama? Due immagini possono offrire una risposta.

La prima, quella dell’arrivo all’aeroporto dell’ Avana del presidente degli Stati uniti domenica scorsa. Scene che hanno lasciato stupefatti gli osservatori e indignato i reporter statunitensi: per accogliere la «storica visita» era accorso all’ultimo minuto, quando l’aereo Force one era già atterrato, il ministro degli Esteri, Bruno Rodríguez, quasi trafelato e imbarazzato sul da farsi.

Agli illustri ospiti non è stato nemmeno offerto un ombrello per ripararsi dalla pioggia, lo stesso Obama ha dovuto aprire il suo e dare riparo alla moglie.

Martedì 22 la scena della partenza è stata differente, alla degli ospiti era presente il presidente Raúl Castro, che salutava con la mano il decollo dell’aereo nordamericano.

Nei due giorni trascorsi tra le due scene, Obama aveva ripetuto in più occasioni che non era intenzione degli Stati uniti provocare un cambiamento del governo di Cuba, ma che qualsiasi cambio doveva essere voluto e attuato dal popolo cubano. Specie dai giovani che, secondo lui, avevano il compito di «costruire qualcosa di nuovo».

In secondo luogo, la grande assente in tutti i discorsi ufficiali del presidente nordamericano è stata l’opposizione cubana, che fino allora era apparsa come la principale scommessa di cambio nell’isola (o il principale «cavallo di Troia», nella versione ufficiale cubana).

Obama non ha nemmeno fatto riferimento alle Damas de blanco detenute con la forza domenica quando manifestavano di fronte alla Chiesa di Santa Rita, argomento che gli era stato offerto con grande clamore dalla stampa americana e internazionale. Certo –ed è stata la prima volta che un capo di stato straniero ha potuto farlo- Obama si è riunito con un ristretto gruppo di dissidenti/oppositori che ha elogiato e al quale ha promesso sostegno –cosa che già avviene, visto che il governo nordamericano passa circa 20 milioni di dollari l’anno ai gruppi cubani di opposizione.

Però il contatto è stato tutosommato di basso profilo, ad uso della stampa americana soprattutto, e del tutto ignorato dai mass media ufficiali cubani. E’ apparso chiaro che la Casa bianca, per «democratizzare Cuba», non persegue la linea di un cambio del governo socialista.

L’attenzione degli Stati uniti si muove in un’altra direzione come eventuale motore di un cambio. Il presidente spera che la politica di liberalizzazione dei viaggi e l’apertura degli scambi commerciali tra i due lati del Golfo della Florida comportino un rafforzamento del settore privato a Cuba, il quale potrà cristallizare una classe media capace di chiedere modifiche politiche che ne proteggano gli interessi economici. Pensando a questa ipotesi –che tra l’altro dovrebbe avere l’appoggio della Chiesa cattolica nell’isola- il presidente nordamericano ha insistito molto nella promozione di internet come via per lo sviluppo sia dell’economia che della cultura/mentalità imprenditoriale dei cittadini cubani.

Dunque la linea scelta dalla Casa bianca, così come si è avvertito anche da dichiarazioni pubbliche e private della delegazione che ha accompagnato la visita di Obama, sarebbe di una transizione dilatata nel tempo, senza ingerenza palese, nè ultimatum da parte di Washington.

Un «cambio», non una rottura.

Una situazione differente da quanto è avvenuto in Europa dell’Est dopo l’implosione dell’Urss, dove da regimi di socialismo reale si è passati in tempi brevi a governi di destra –o addirittura fascisti come l’attuale premier ungherese- con un corollario di persecuzioni e giudizi sommari dei leader dell’antico governo.

Quello che gli Stati uniti vogliono a tutti i costi evitare- sosteneva un membro dell’entourage di Obama- è una destabilizzazione di Cuba, con conflitti sociali e una probabile massiccia ondata migratoria negli Usa dove, grazie alla legge de ajuste cubano, gli immigrati avrebbero automaticamente la residenza e poi la cittadinanza.

Questa nuova linea di Obama per affrontare i rapporti bilaterali, caratterizzata dall’offerta di un’amicizia (la rosa bianca di Martí) è stata recepita, ma ha anche spiazzato la dirigenza politica cubana perché potrebbe dimostrarsi più pericolosa della più che cinquantennale aggressività degli anni passati.

Inoltre, il discorso del presidente Usa nel Gran Teatro dell’Avana ha fatto breccia nei cubani, almeno per quanto ho potuto verificare con i miei amici e contatti all’Avana. E infatti i mass media locali hanno risposto al discorso con fuoco di sbarramento e usando i vecchi toni da barricata a difesa dell’isola. E comunque già in precedenza il governo aveva deciso di non contare su Google, ma sulla Cina per ampliare la rete di internet nell’isola. Ma era chiaro che il messaggio di Obama doveva essere analizzato con serietà e che l’ospite non poteva essere più trattato con sufficienza