Di fronte al bivio individuato dal Presidente Mattarella a “Procida capitale della cultura 2022”, che sentiero prendono i principali governi dell’Unione europea? Qual è l’obiettivo di sanzioni economiche sempre più estese e dell’invio di armi sempre più “di offesa”, come serenamente affermato dal Segretario Generale della Nato qualche giorno fa? Dov’è l’iniziativa politico diplomatica dell’Ue per perseguirlo? Si possono valutare sul piano militare, politico e finanche morale gli strumenti utilizzati e da utilizzare a prescindere dai fini perseguiti? Si possono scegliere i fini soltanto in base a criteri morali senza attenzione alle conseguenze materiali per il proprio popolo?

È sempre più evidente il rischio che i principali governi dell’Ue, a rimorchio degli USA, seguano la Russia lungo la strada della regressione della storia europea: la sacrosanta salvaguardia della sovranità e della libertà del popolo ucraino attraverso il regime change a Mosca, quindi l’escalation militare ed economica, invece di un compromesso con il presidente Putin. Vediamo perché.

Primo, l’analisi. L’insistenza sulla malata psicologia dello “zar”, sul revanscismo imperialista russo, sul Donbass come i Sudeti del 1938, sulla definizione di genocidio per i crimini russi, implica puntare al regime change, poiché qualsivoglia compromesso sarebbe l’appeacement con Hitler. L’invasione dell’Ucraina è ingiustificata e ingiustificabile, ma per arrivare ad un compromesso devi riconoscere, per quanto si possano ritenere irragionevoli e infondate, le cause sentite dal tuo nemico e i suoi obiettivi: innanzitutto, la sicurezza nazionale e la neutralità militare dell’Ucraina.

Sono dati di realtà segnalati, da due decenni, dal filone “realista” delle relazioni internazionali, un tempo egemone, anche nei principali partiti italiani. Infatti, come ricordano gli Usa con parole, opere e omissioni, dietro le quinte della Dottrina Truman, dedicata “alla difesa dei popoli liberi”, continua a vigere la Dottrina Monroe, anche dopo “la fine della Storia”. Insomma, le sfere d’influenza non solo sono esistite. Noi lo sappiamo bene. Ma esistono ancora, purtroppo. Non vuol dire chiedere a Zelensky la resa o la rinuncia alla sovranità del suo Stato. Vuol dire prendere atto che la sovranità nazionale è sempre relativa e che si esercita in un quadro di movimenti vincolati. Invece, con particolare zelo nel campo progressista, anche le relazioni internazionali diventano il regno dei principi umanitari astratti e dei diritti assoluti.

Secondo, le azioni. Per arrivare ad un compromesso, devi portare dalla tua parte gli Stati più rilevanti del pianeta e stringere le maglie delle istituzioni multelaterali intorno a Mosca. In sintesi, l’opposto della spaccatura dell’Assemblea Generale dell’Onu nel voto di giovedì scorso per la sospensione della Russia dal Consiglio per i Diritti Umani: 58 astensioni, tra cui Brasile, India, Pakistan, Sud Africa, Messico, Kuwait, Qatar e 24 contrari tra i quali Cina, oltre ad Algeria ed Arabia Saudita, i nostri fornitori di energia alternativi alla Russia. Per arrivare ad un compromesso, devi chiedere l’aiuto diplomatico di Pechino in nome del comune interesse mercantilista, invece di definire la Cina “sfida sistemica”.

Per arrivare ad un compromesso, devi promuovere la neutralità militare dell’Ucraina attraverso adeguate garanzie per la sua indipendenza. Quindi, devi evitare di sancirne l’ingresso accelerato nella Ue, come invece ha appena fatto a Kiev la Presidente Von der Leyen: la membership Ue, nel mezzo del conflitto, è fattore di escalation diplomatica e militare. Inoltre, pregiudica il futuro dell’integrazione politica perché, con il conseguente arrivo dei Balcani, porterebbe ad un’Unione a 33-34 Stati. Così, mentre già ora la difesa comune rimane un miraggio e, come la Germania, ciascuno si riarma da se, diventano ancora più divergenti gli interessi geo-politici ed ancora più soffocante il dumping fiscale e sociale per lavoratrici e lavoratori degli Stati a welfare maturo.

Forse, forse, siamo ancora in tempo per imboccare la via “della sopravvivenza ai mali del passato”. Ma è necessario che, almeno dal versante progressista, l’atlantismo sia coniugato con realismo e con la consapevolezza che, in totale lealtà con l’alleato di Washington, gli interessi europei sono diversi dagli interessi degli Usa.