«Se Martina apre una fase nuova, noi ci siamo. Se i protagonisti della più grande disfatta del centrosinistra in Italia vogliono organizzare un definitivo suicidio collettivo, prenderemo apertamente le distanze». Daniele Marantelli è l’uomo del Nord del Pd, e anche uno degli uomini macchina della mozione Orlando.
È una minaccia di una scissione?
No, ma serve serietà. Noi non temiamo le primarie. Anzi, se preparate con un lavoro serio sulla società italiana, serviranno a coinvolgere nuove energie oggi indispensabili. Se invece sono la riproposizione di una stanca liturgia con logiche di potere, saremo contro: quelle logiche sono state bocciate senza appello dal voto popolare del 4 marzo.
Renzi e i suoi non hanno capito la dimensione della sconfitta?
Renzi ha talento politico. Il guaio è chi gli sta intorno. Ora però si esagera: non posso credere che uno equilibrato come Delrio non capisca che dopo Waterloo riunirsi in una foresteria in zona Dolce Vita è un gesto rivelatore. Il messaggio è: siamo arroganti e non abbiamo capito niente del consenso perso. Consiglierei a tutti di rivedersi Roma-Barcellona. Il talento è necessario, ma è il gioco di squadra che ha permesso il miracolo. Lo dico da uno che ha sempre giocato con il numero 10.
Renzi è ancora il numero 10 del Pd?
Parliamo del Pd. Il 21 aprile deve iniziare una discussione a fondo sulla sinistra. Se invece ci troviamo a misurare la vicinanza da Renzi di Martina o Serracchiani stiamo rinunciando alla nostra funzione storica.
Facciamo la discussione a fondo.
Se M5S in Campania 1 prende il 54% non è solo per il reddito di cittadinanza. Il Pd non ha visto quello che stava succedendo: il lavoro non è più strumento di redistribuzione del reddito. Il lavoro è dignità: se guadagni 700 euro e hai famiglia sei un povero, benché lavoratore. Questo riguarda anche gli artigiani soli davanti alla burocrazia e i piccoli imprenditori di fronte alla competizione internazionale. Questi temi sono stati rimossi.
Renzi non ha votato da solo il jobs act e la buona scuola.
Abbiamo sperato che Renzi fosse conseguente con l’intenzione manifestata di far prevalere la politica sulla finanza e sui tecnici. Dopo un anno a Palazzo Chigi, nonostante l’impegno per rilanciare l’economia, emergeva una forte ansia di potere. Infatti, dal 2015 in poi, solo sconfitte.
Il Pd vuole autoriformarsi?
Certi goffi conformismi permangono. Non dipendono solo da questi ultimi quattro anni, ma questi quattro anni non vanno rimossi. Due anni fa hanno votato NO l’80 per cento dei giovani, il 70 degli operai e il 78 dei disoccupati. Quel voto diceva già tutto.
Cosa proporrà la minoranza all’assemblea del 21 aprile? Lancerete Zingaretti?
Non faremo le belle statuine. Ci misureremo con la realtà. L’Italia è spaccata a livello geografico e generazionale. Ho detto della Campania 1. In Lombardia il centrodestra vince di 20 punti su di noi. Ma senza o contro il Nord l’Italia non la governi.
I renziani sembrano avere un’altra risposta, opposta: alla Macron.
Non la demonizzo, ma non è una risposta. L’Italia non è la Francia. Nel nostro paese serve riprendere il disegno spinelliano dell’Europa federale e socialista, ma anche quello dell’Italia federale. E quindi di un Pd federale. Un partito riformista, popolare,amico dei cittadini che ti insegna l’uso dei social, ma anche la lettura di una busta paga, di un piano industriale, un piano regolatore. Così la politica è strumento di emancipazione. Se no è solo uno strumento di sistemazione individuale. Dico una cosa contenuta nell’art.1 dello statuto del Pd,ma che ne’Renzi né Bersani hanno attuato.
Tutto il potere alle federazioni?
Un partito del nuovo secolo, unito da valori comuni, libertà, uguaglianza, onestà, merito, ambiente, famiglia, non può che avere un’organizzazione flessibile. Faccio un esempio. Domenica va al voto il Molise. Ha 300 mila abitanti, un terzo della provincia di Varese. Non puoi dare al Molise le stesse risposte che dai alla Lombardia.
Intanto il Pd si arrocca.
Dovremmo essere più umili: non lo siamo stati a suo tempo con la Lega, che abbiamo trattato come folclore e adesso si è presa gli operai, non lo siamo oggi con i 5 stelle. Io so che nel 2019 ci sono le europee, ma mi piacerebbe che, mentre sfidiamo 5 Stelle e Lega con la lotta politica quotidiana, ci dessimo un obiettivo, un pensiero più lungo. Diamoci appuntamento a Livorno nel 2021: per ricordare la più grande scissione del secolo scorso e preparare la più grande operazione di unità di questo secolo. Con un Pd fiume che raccoglie i migliori affluenti culturali, sociali, economici.
Gli ex dc apprezzeranno? C’è di nuovo un cattolico in pole position per la guida del Pd.
Soprattutto gli ex dc sanno che serve profondità di pensiero. Serve un segretario, ma anche il ritorno all’intellettuale collettivo. E non possiamo sbagliare di nuovo.