È appeso a un filo il destino di Lula. Dopo la scontata decisione dei giudici del Tribunale Regionale Federale di Porto Alegre, che hanno respinto all’unanimità il ricorso dei legali dell’ex presidente contro la sua condanna in seconda istanza a 12 anni e un mese di carcere per corruzione passiva e riciclaggio di denaro, tutto è ora nelle mani dei ministri del Supremo Tribunale Federale.

Il 4 aprile dovranno pronunciarsi sulla richiesta di habeas corpus presentata dalla difesa di Lula per evitargli la prigione prima che vengano esaurite tutte le possibili risorse processuali.

Una sentenza che l’ex presidente potrà attendere in libertà, grazie alla delibera provvisoria concessagli dai giudici – con un solo voto di scarto, 6 a 5 – che impedisce un eventuale arresto finché il plenario del Stf non si sia espresso sulla richiesta della difesa.

Al centro della decisione che la Corte Suprema sarà chiamata ad adottare il 4 aprile vi è la controversa giurisprudenza definita nell’ottobre del 2016 – anche in questo caso con un solo voto di scarto – che, contrariamente a quanto disposto dalla Costituzione, autorizza l’arresto già dopo la condanna in secondo grado.

E già si sa che, degli undici ministri che compongono la massima istanza giudiziaria del paese, cinque sono contrari a tornare sui propri passi (gli stessi che si sono opposti al salvacondotto a favore di Lula) e cinque ritengono che si debba recuperare il rigoroso rispetto del dettato costituzionale.

A fare da ago della bilancia sarà probabilmente la ministra Rosa Weber che però, pur essendo personalmente favorevole a impedire l’arresto prima dell’esaurimento di ogni ricorso presso istanze superiori, si è finora attenuta alla giurisprudenza in vigore, respingendo tutte le richieste di habeas corpus analoghe a quella presentata dalla difesa di Lula.

E il problema è che, malgrado la sconcertante incertezza giuridica che su tale aspetto regna in Brasile dal 2016, la presidente del Stf Cármen Lúcia si è finora rifiutata di mettere in agenda la discussione generale sulla revisione o meno dell’attuale giurisprudenza, optando solo per esaminare il caso specifico di Lula. Il che dovrebbe indurre Weber a respingere, anche nel caso dell’ex presidente, l’habeas corpus presentato dai suoi legali.

Le conseguenze di tale decisione saranno in ogni caso di immane portata. Se i ministri del Stf si pronunciassero contro Lula, per l’ex presidente si aprirebbero le porte del carcere e l’ombra nera che si è allungata sul Brasile con il golpe contro Dilma Rousseff ricoprirebbe il paese per chissà quanto tempo.

Se, al contrario, i giudici accogliessero la sua richiesta, non si farebbe di sicuro attendere la reazione di un’estrema destra sempre più presente e aggressiva, come hanno appena mostrato gli atti di violenza contro la carovana «Lula per il Brasile» che ha attraversato in questi giorni il Sud.

Significative al riguardo le dichiarazioni del generale (da un mese in pensione) Antônio Mourão – lo stesso che aveva di recente evocato l’intervento dei militari per spazzare via la corruzione dal paese – sulla «codardia morale» della Corte Suprema, con toni minacciosi riguardo a una presunta «collera delle moltitudini».

«Non ho paura di essere arrestato», ha dichiarato dal canto suo il fondatore del Pt durante la sua carovana per il Sud del paese che si conclude oggi a Curitiba, la città di Sergio Moro, il discusso simbolo dell’inchiesta Lava Jato responsabile dell’incubo giudiziario di Lula. Toccherà proprio a Moro, nel caso in cui il Stf dovesse respingere il 4 aprile la sua richiesta di habeas corpus, emettere l’ordine di cattura.

E c’è da scommettere che, se non fosse stato per il salvacondotto disposto dalla Corte Suprema, l’avrebbe fatto volentieri proprio all’arrivo in città della carovana.