Festival che dilaga all’interno di un altro festival, Focus Jelinek è in realtà un ampio progetto dedicato alla scrittrice austriaca, a cura di Elena Di Gioia, che attraverserà le città emiliane e romagnole fino al marzo del prossimo anno. La sfida è quella di entrare con i mezzi del teatro nelle pieghe di una scrittura, quella di Elfriede Jelinek, che a sua volta si dispiega con mezzi diversi, dai testi teatrali ai romanzi, su cui opera però una sorta di implacabile scardinamento. E anche gli esiti non possono che essere diversi, come già rivelano i primi lavori visti nell’ambito di Vie, altro festival che partendo da Modena sta ampliando di anno in anno il proprio territorio.
Le amanti è in origine un ossessivo romanzo che attraverso le vite parallele e i destini di due donne mette in questione, non tanto una dimensione locale su cui già Bernhard si era speso in maniera impietosa, quanto piuttosto la possibilità stessa di un linguaggio in grado di raccontarle. L’una fa l’operaia, l’altra lavora nei campi. Entrambe sembrano condannate in partenza all’unica alternativa che offre il paese, la fabbrica o la casa. Entrambe cercano una via di fuga, illusoria naturalmente, nell’amore di un uomo per altro precario. Per ricascare naturalmente lì, nella casa o nella fabbrica. Fedele alla propria poetica, fondata fin da principio sull’attore inanimato, il Teatrino Giullare sottolinea il rapporto distaccato fra la voce narrante che si materializza in scena e i due manichini manovrati a vista che riproducono a grandezza naturale le protagoniste putative, mentre sul fondo un muro di scatole di cartone si scompone di continuo per rivelare il volto di lattice di altri personaggi. Quel che più si fa apprezzare è la visibile sgradevolezza di un mondo in cui nulla si salva, in cui tutti sono colpevoli vittime.
Quasi opposto l’approccio di Chiara Guidi in Nuvole. Casa, in scena a Modena all’interno della biblioteca Poletti – e anche le tappe successive saranno ambientate in biblioteche storiche delle città visitate, a sancire il legame inscindibile del testo con l’idea stessa del libro. Una quindicina di spettatori stanno seduti intorno all’attrice, seduta a sua volta a un leggio, mentre più indietro è posto il contrabbasso di Daniele Roccato. Qui ogni idea di comprensione deve cedere il passo al ritmo ipnotico del flusso verbale, alla vocalità musicale della performer. Il testo nasce infatti da un montaggio di parole prese dalle pagine di autori diversi, insediati nella lingua e nella storia tedesca, da Kleist a Heidegger per arrivare alle lettere dei militanti della Raf del plumbeo «autunno in Germania» degli anni settanta del secolo scorso. Una sorta di scrittura cubista che guarda quelle parole da angolazioni diverse, soffermandosi sulle ripetizioni per trasformarle in suoni. Sarà anche per spezzare questo incantesimo verbale e sonoro che Chiara Guidi introduce un deuteragonista, un ragazzino inquieto che entra ed esce con vecchi volumi, ne brucia le pagine, ci costruisce instabili muraglie ma non rinuncia a dire la sua all’occasione.
Intanto il festival Vie si è concluso dopo più di due settimane in cui si è visto quanto ampio è lo spettro del teatro contemporaneo. Perduta o negata una tradizione comune, ciascuno va per la sua strada. L’ultima immagine che resta è quella di Pippo Delbono che sul palco del teatro Storchi urla le parole di Koltès, La notte prima della foresta, compagne di un racconto inevitabilmente in prima persona. Amore e rabbia. Parole ferite anche queste, come quelle di Jelinek. Teniamole da conto.