Laddove Hosni Mubarak non era mai arrivato e Mohammed Morsi non pensava neppure di poter giungere, Abdel Fattah al-Sisi è stato capace di condurre il paese: alla completa militarizzazione.

L’esercito ha iniziato a demolire le case a Rafah nel Nord del Sinai dopo l’evacuazione dello scorso martedì come parte di un piano più generale per creare una zona cuscinetto al confine con la Striscia di Gaza. Con l’intento ufficiale di fermare gli attacchi jihadisti, 1156 famiglie sono state cacciate dalle loro case con l’esproprio di 910 acri di terra.

L’operazione avrà solo l’effetto di umiliare ulteriormente le tribù locali senza toccare i meccanismi di attivazione delle azioni terroristiche, direttamente connessi ai servizi di Intelligence.

Ma con la scusa degli attentati, costati la vita a 31 soldati lo scorso venerdì, Sisi ha preso una serie di provvedimenti senza precedenti che vanno ben oltre lo stato di emergenza sulla regione in nome della lotta al terrorismo. L’ex generale ha autorizzato i militari a proteggere ogni infrastruttura pubblica. Questo dà il diritto all’esercito di presidiare permanentemente strade, ponti e centrali elettriche.

Dallo scorso venerdì, tutte le infrastrutture pubbliche in Egitto sono considerate come sotto controllo militare per i prossimi due anni, mentre la polizia dovrà occuparsi della messa in sicurezza dei luoghi insieme ai soldati. La legge si estende alle università dove ha fatto ritorno la polizia militare a protezione degli atenei.

Sono tornati poi i processi militari contro i civili contro i quali avevano puntato le più dure campagne anti-regime, perpetrate da attivisti come Alaa Abdel Fattah, che è tornato in prigione, mentre sua madre e sua moglie hanno iniziato lo sciopero della fame per chiedere il suo rilascio. Insieme ad Alaa è in carcere anche la sorella Sanaa, condannata a tre anni per proteste contro la legge anti-manifestazioni. Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttore per il Medio Oriente di Amnesty International, ha definito le leggi come l’avvio di processi di militari di massa contro i civili, inclusi studenti e contestatori pacifici.

[do action=”citazione”]Sono decine di migliaia gli attivisti in prigione in Egitto dopo il golpe del 3 luglio 2013. E la repressione dei movimenti universitari non è mai stata tanto dura.[/do]

All’annuncio dell’introduzione della nuova norma, che prevede anche l’impossibilità per uno studente espulso da un’università pubblica di essere riammesso in un ateneo privato, sono scoppiate proteste in tutte le università. Sono 230 gli studenti arrestati dall’inizio dell’anno accademico, 76 nell’Università di Al Azhar: anche tre studentesse sono state arrestate da poliziotti in borghese dentro l’ateneo. Le giovani sono state rilasciate ma non si hanno notizie di una quarta studentessa, Aliaa Tarek, scomparsa da nove giorni. Trenta accademici hanno criticato la presenza delle forze di sicurezza nei campus.

Ormai è direttamente Sisi a nominare i capi Dipartimento negli atenei, interferendo sull’indipendenza dell’insegnamento universitario.

Proteste contro i processi militari ai civili sono scoppiate anche all’Università di Mansoura, l’esercito è intervenuto lanciando lacrimogeni per disperdere la folla e arrestando decine di studenti. Intanto, in un’intervista alla stampa saudita, Sisi ha assicurato che il tentativo internazionale di stabilire un nuovo ordine in Medio oriente è fallito. Tuttavia, anche il Dipartimento di Stato Usa ha criticato le recenti condanne e la legge anti-proteste, in vigore in Egitto.