Con l’arrivo in Colombia della brigata Usa di Security Force Assistance (Sfab), incaricata ufficialmente di aiutare il paese nella guerra contro il narcotraffico, anche la sovranità nazionale è finita in quarantena. E nulla lo indica meglio del fatto che a darne l’annuncio sia stata per prima l’ambasciata statunitense in Colombia, anziché il governo di Iván Duque.

Per l’ammiraglio Craig Faller, a capo del Comando Sud degli Usa, la missione della brigata, che sarà dispiegata per «diversi mesi» nelle cosiddette Zonas Futuro, le regioni della Colombia più colpite dalla violenza e dalla criminalità, è «un’opportunità per dimostrare il nostro impegno reciproco contro il traffico di droga e il sostegno alla pace regionale, il rispetto della sovranità e la promessa duratura di difendere ideali e valori condivisi». Ma quanto sia credibile tale impegno lo spiegano bene i dati delle Nazioni unite, in base a cui la collaborazione statunitense alla lotta contro il narcotraffico, a partire dal famigerato Plan Colombia, ha prodotto come risultato un aumento degli ettari dedicati alla coltivazione di coca dai 160mila del 1999 ai 212mila dello scorso anno.

In molti hanno denunciato il colpo al cuore della democrazia rappresentato dall’arrivo, il primo giugno, dei militari Usa: malgrado la Costituzione richieda espressamente la previa autorizzazione del Senato per la presenza di truppe straniere nel paese, il governo ha completamente bypassato il Parlamento, facendo leva sul presunto carattere meramente «consultivo e tecnico» della brigata militare.

«Mai la Colombia è stata così in ginocchio. Questo governo è al servizio della politica estera più impopolare al mondo, obbedendo agli ordini dell’ala più estremista della Casa Blanca», ha denunciato il senatore Iván Cepeda del Polo Democratico Alternativo. Aggiungendo che, per combattere davvero il narcotraffico, bisognerebbe partire dal ruolo dell’ex presidente Álvaro Uribe, e per questo non servirebbero i militari Usa, «basterebbe che agisse la Procura».

Ma a creare allarme è il riferimento stesso alla «guerra contro il narcotraffico», in contraddizione con l’approccio alternativo degli Accordi di pace rappresentato dal Piano nazionale integrale di sostituzione delle coltivazioni illecite, anch’esso totalmente disatteso e sostituito da una serie di attacchi alle comunità contadine di vari dipartimenti del paese.

«Non è con più soldati, tantomeno se estranei alla nostra nazionalità e alla nostra cultura, che si risolverà il problema delle droghe», denunciano le organizzazioni appartenenti alla Cumbre Agraria, Campesina, Étnica y Popular, secondo cui l’arrivo dei militari incrementerà la conflittualità sociale, esponendo per di più le comunità al rischio di contagio da Covid-19.

Non meno preoccupante, inoltre, è l’aperta minaccia alla sovranità del Venezuela costituita dalla presenza delle truppe statunitense in zone di frontiera come Arauca e Catatumbo. Il timore espresso da più parti è che l’obiettivo sia quello di avanzare nei preparativi per un intervento nel paese vicino, con l’attiva complicità del governo Duque.