Dal suo letto d’ospedale, Silvio Berlusconi assiste alla fine del suo centrodestra, nella sua Milano primi exit poll fotografano una corsa al fotofinish. Beppe Sala vince per un soffio, ma quella distanza minima per Renzi fa la differenza tra una sconfitta pesantissima e la catastrofe, per quel che resta dell’armata berlusconiana è la campanella del ko. A Bologna, dove la destra sfoderava la grinta leghista di Lucia Borgonzoni al posto della composta moderazione di Stefano Parisi ,va peggio. la leghista si ferma al 45%. Il sindaco uscente Virginio Merola la supera di quasi 10 punti.

In entrambe le città dove la destra si presentava unita, dunque, la vittoria sorride a un Pd battuto invece nelle piazze dove si trovava di fronte soggetti politici inesistenti nella defunta seconda Repubblica, come l’M5S o de Magistris a Napoli.

Per il premier e segretario del Pd si tratta comunque di una vittoria mutilata, avendo dovuto sospirare fino all’ultimissimo secondo una vittoria che appena un paio di mesi fa veniva data per certissima, e con ampio scarto. Ma Per la destra unita lo scacco, nonostante la rimonta di Parisi è totale. Se la batosta a Bologna era messa nel conto sin dall’inizio, Milano avrebbe potuto rappresentare per Berlusconi, ma anche per Salvini, la prova che per il centrodestra la partita delle prossime elezioni politiche sarebbe ancora aperta, se le forze dell’antica coalizione riuscissero a trovare un collante. Quei miseri punticini percentuali che consegnano Milano a Beppe Sala rendono quel sogno un miraggio. In politica nulla fomenta le divisioni più delle sconfitte. Per il degente del san Raffaele, la campagna delle comunali sarà davvero, probabilmente, l’ultimo atto di una parabola politica al tramonto.

La partita di Milano, del resto, se da un lato era importantissima, data l’importanza della metropoli in palio, ma da un altro punto di vista era quella politicamente meno rilevante: uno scampolo di seconda repubblica, la finale del campionato dell’anno scorso. Si confrontavano, caso praticamente unico, gli stessi schieramenti che hanno tenuto banco nel “ventennio berlusconiano”. I candidati, caso forse ancora più unico, erano stati selezionati col criterio della reciproca somiglianza, in modo da pescare entrambi voti nell’area moderata. Al contrario a Roma, Torino e Napoli i candidati in campo puntavano, sull’esaltazione della differenza, in un confronto esplicito tra sistema e anti-sistema.

In realtà probabilmente neppure un miracoloso successo avrebbe concesso al disgregato esercito berlusconiano più di una boccata d’ossigeno. nemmeno Parisi sindaco avrebbe potuto resuscitare quel disegno politico, proprio perché in ogni caso il modello di Milano non è esportabile, in un Paese dove il confronto politico è sideralmente distante da quello tipico della lunga fase iniziata nel 1994, di cui queste elezioni hanno certificato il decesso.

Il voto di ieri vanifica probabilmente anche il progetto di Renzi: quello di trovarsi di fronte, alle prossime elezioni politiche, un rivale espressione di forza Italia e dei partiti satelliti di Arcore. Non è un particolare: la legge elettorale voluta dal premier, l’Italicum, è calibrata sull’ipotesi di doversela vedere con l’area politica sin qui berlusconiana, alla quale andava pertanto sottratta l’arma più micidiale, la capacità di coalizzare partiti molto diversi.

Le voci che filtrano da palazzo Chigi dicono che lo stesso Renzi si sarebbe ormai reso conto che con ogni probabilità il rivale nelle prossime politiche, ormai definitivamente fissate per il 2018, a scadenza naturale della legislatura, sarà invece l’M5S, cioè un Movimento che ha il proprio punto di forza proprio nel rifiuto della logica di coalizione, e che pertanto da una legge come l’Italicum ha tutto da guadagnare.

Con un distacco così ridotto nessuno, né tra i protagonisti né tra i comprimari, si lascia sfuggire un fiato. Ma anche quando i risultati saranno ufficiali e i commenti inevitabili, difficilmente dal centrodestra potranno arrivare indicazioni chiare. Quel fronte è ormai nel caos, e nessuno è più in gradi di ricompattarlo.

Se infatti nella sfida del primo turno Berlusconi aveva segnato un punto nel duello contro l’ala estrema incarnata da Salvini e Giorgia Meloni, sbarrando a quest’ultima la porta del ballottaggio a Roma, il senso complessivo di questa tornata elettorale, che certo non premia le ali moderate, rafforza invece la stessa area battuta nel primo turno. Ma lo stesso Salvini, con alle spalle un risultato deludente due settimane fa e battuto ieri a Bologna, non ha i numeri per reclamare il trono.