Settantamila studenti disabili dei quasi 300 mila che hanno frequentato la scuola italiana non hanno potuto partecipare alle lezioni della didattica a distanza (Dad) obbligatoria dal nove aprile all’otto giugno 2020 durante il primo lockdown totale della scuola.

Il rapporto L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità pubblicato ieri dall’Istat sostiene che il diritto allo studio del 23% di questi studenti è stato negato a causa delle politiche reputate necessarie per contenere la diffusione del Covid. Consapevole dei danni psicologici, sociali e formativi enormi causati il governo ha previsto la frequenza degli alunni disabili nella seconda chiusura delle superiori messe in Dad dal 4 novembre scorso. Da allora le classi sono aperte e gli insegnanti di sostegno seguono le attività. L’iniziativa ha sollevato dubbi e critiche (Il Manifesto 6 dicembre).

Nei primi due mesi di Dad la situazione è peggiorata nelle regioni del Mezzogiorno. Se infatti la percentuale nazionale degli studenti disabiliti che non hanno potuto partecipare alle lezioni è del 23% (su 300 mila in totale) a Sud era al 29%. Gli altri studenti persi dalla Dad sono l’8% degli iscritti. Anche in questo caso si riscontrano ampie differenze territoriali: le regioni del Centro si distinguono per la più bassa percentuale di studenti esclusi (5%) mentre nel Sud del Paese la quota risulta quasi raddoppiata (9%). Le ragioni che hanno reso difficile la partecipazione alla Dad sono la gravità della patologia (27%), la mancanza di collaborazione dei familiari (20%), il disagio socio-economico (17%).

Il motivo dell’esclusione è dovuto alla difficoltà nell’adattare il Piano educativo per l’inclusione (Pei) alla Dad (6%), alla mancanza di strumenti tecnologici (6%) e, per una parte residuale, alla mancanza di ausili didattici specifici (3%). Le difficoltà di carattere tecnico e organizzativo, la carenza di strumenti e di supporto adeguati e alle difficoltà d’interazione, l’origine sociale e la condizione economica delle famiglie hanno pesato nell’esclusione di questi studenti dal loro diritto e ha interrotto i percorsi didattici intrapresi da molti docenti. L’obiettivo dell’inclusione e della socializzazione è stato, in questi casi, compromesso.

Va anche raccontata la realtà delle condizioni di lavoro in cui si trovano gli insegnanti di sostegno. Questi docenti sono poco più di 176 mila. A livello nazionale il rapporto alunno-insegnante (pari a 1,7 alunni ogni insegnante per il sostegno) è migliore di quello previsto dalla Legge 244/2007 che raccomanda un valore pari 2. Tuttavia, il numero di quelli specializzati è ancora insufficiente; la richiesta di queste figure aumenta di anno in anno velocemente. Per questa ragione nel 37% dei casi si selezionano i docenti per il sostegno dalle liste curricolari. Parliamo di docenti individuati per rispondere alla carenza di insegnanti per il sostegno, ma che non hanno una formazione specifica. Questo accade di più nel Nord dove la quota di insegnanti curricolari che svolgono attività di sostegno sale al 47% mentre si riduce nel Mezzogiorno attestandosi al 24%. Sono scarsi gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione nel Sud e scarsa l’accessibilità per gli alunni con disabilità motoria (solo nel 32% delle scuole) e la disponibilità di ausili per gli alunni con disabilità sensoriale.

Tra gli assistenti risulta poco diffusa la conoscenza della lingua dei segni (LIS)(5%). Una scuola su 4 non ha postazioni informatiche adattate alle esigenze degli alunni con disabilità. La dotazione maggiore è nel Nord, tra le più virtuose la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna con l’85% di scuole provviste di postazioni. La Sardegna è all’ultimo posto (64,2%).