Nella lista delle «garanzie costituzionali e regole sul funzionamento parlamentare» che il Pd chiede di mettere nel calendario della legislatura, accettando in cambio di votare subito il taglio dei parlamentari, c’è la legge elettorale proporzionale.

È una novità. Fin qui i democratici si erano preoccupati di opporre al taglio dei parlamentari una modifica del bicameralismo paritario, un intervento sui regolamenti parlamentari (proposte che mantengono) ma non avevano detto nulla sulla legge elettorale, il loro Rosatellum che ha una quota uninominale del 37% e meccanismi che aumentano ancora l’effetto maggioritario.

D’altra parte anche i 5 Stelle hanno santificato il Rosatellum, approvando in tutta fretta con la Lega quella minima modifica che lo rende applicabile anche al taglio dei parlamentari (purché la riforma costituzionale venga approvata entro il maggio 2021). E infine Renzi, la settimana scorsa, ha detto che lui proporzionalista non lo diventerà mai e continua a preferire il bipolarismo maggioritario (anche se i poli nel frattempo sono tre o quattro).

Ma di legge proporzionale gli aspiranti alleati Pd e 5 Stelle hanno cominciato a discutere, e di legge elettorale proporzionale. Ufficialmente perché adesso sono preoccupati del pesante impatto che la quota maggioritaria potrà avere sulla rappresentanza dopo il taglio dei parlamentari. È una preoccupazione giusta, perché i deputati e i senatori da eleggere con la quota proporzionale, dunque eleggibili anche dai partiti più piccoli, diminuiranno notevolmente. Soprattutto i senatori: nella maggioranza delle regioni non saranno più di quattro. E l’attribuzione dei seggi al senato viene fatta a livello regionale. Il che significa che malgrado la soglia di sbarramento formale sia fissata al 3%, quella sostanziale diventa più alta. Si può capire con un esempio.

Alle elezioni del 2018 la lista di Leu è stata l’ultima a superare lo sbarramento, con il 3,28%. Percentuale che avrebbe dovuto corrispondere a 6 senatori, scesi a 4 per i meccanismi maggioritari nascosti nel Rosatellum. Dopo il taglio dei parlamentari, con 122 senatori da eleggere nella quota proporzionale invece di 193, andrà peggio. Superare il 3% (perché il confronto sia comprensibile prendiamo i risultati elettorali del 2018) non garantisce neanche i 4 senatori che il calcolo proporzionale assegnerebbe, ma appena uno, in Lombardia. Superare lo sbarramento per eleggere un solo senatore è quasi una beffa, il lavoro parlamentare nelle commissioni è impossibile. Un po’ meglio andrebbe con la correzione di cui si parla, l’eliminazione cioè della quota uninominale.

Se tutti i senatori, dopo il taglio, fossero eletti con il proporzionale (usando ancora i dati 2018) Leu ne perderebbe solo uno (quello eletto in Sicilia), passando da 4 a 3.

Il taglio dei parlamentari, in altre parole, è di per sé un macigno sulla rappresentanza che la legge elettorale non è in grado di sgombrare. Il proporzionale però avrebbe un effetto sicuro: rallentare la corsa di Salvini e impedire il tandem con Meloni. E tanto basta a Pd e 5 Stelle.