Cos’è stata e cosa continua ancora oggi a rappresentare la sperimentazione con le immagini in movimento in relazione alla ricerca artistica in Italia dagli anni ’60 ai giorni nostri? A questa domanda abbiamo provato a rispondere attraverso una rassegna; una sintetica retrospettiva articolata in un centinaio di opere circa, suddivise in quattro programmi di quattro ore ciascuno, riproposti quotidianamente all’interno della video gallery del MAXXI. La scelta di un approccio diacronico, consente di storicizzare l’oggetto dell’analisi attraverso una partizione per decenni che mostri linearmente l’evoluzione del cinema e del video d’artista, senza tuttavia rinunciare a operare confronti sincronici tra i titoli selezionati. Tale prospettiva offre allo spettatore una visione chiara, lineare e perfino “didattica” della sperimentazione audiovisiva d’artista in Italia; una scelta forse controcorrente in un’epoca in cui la complessità delle esperienze e delle pratiche artistiche richiede approcci metodologici sempre meno tradizionali.

Il titolo Doppio schermo fa riferimento da una parte al campo esteso delle immagini in movimento e, dall’altro, alla ricerca artistica d’avanguardia Lo schermo, inteso come superficie di proiezione ma anche filtro, che vela e al tempo stesso rivela, diventa il dispositivo di un’interfaccia inesauribile. Ma il titolo si riferisce anche a un’altra duplicità, relativa ai due dispositivi che si sono succeduti, affiancati e a volte sovrapposti: il cinema e il video, due termini che oggi – con l’unificazione dei supporti nell’era del digitale – hanno perso di significato ma che, in un’ottica storica, sono utili a comprendere alcuni passaggi decisivi in termini sia estetici sia tecnologici.

Ciascun artista può intendere il cinema come estensione del proprio immaginario, caratterizzato da una continuità anche di ordine tecnico (pensiamo a chi rende cinetiche le composizioni pittoriche o grafiche con procedimenti di animazione); oppure come creazione di un immaginario autonomo che, pur partendo da una riflessione concettuale sulla teoria e sulla pratica estetica, prende nuove strade e assume nuove forme frutto di un ragionamento sullo statuto specifico delle immagini in movimento. Non è possibile isolare e identificare per ciascun decennio uno stile preciso o – se ragionassimo in termini musicali – un “basso continuo” che connota un momento storico. Ma sicuramente, attraverso una selezione delle opere più significative, è più facile restituire un’idea di omogeneità e campi di ricerca condivisi, tecnologicamente e iconologicamente, di un dato periodo.

Il film d’artista italiano attraversa la sua age d’or negli anni ’60 Se prima di allora si rintracciano solo sporadiche e isolate esperienze, in questo decennio le incursioni degli artisti nel mondo delle immagini in movimento – pur nella loro individualità e singolarità –, risentono di un clima culturale diffuso, di influenze “ambientali” e, in alcuni casi, di una precisa progettualità che matura in un periodo dove l’arte è obbligata a confrontarsi con le tecniche mediali.

Roma si pone fin da subito come centro propulsore di questa nuova fase, anche grazie alla creazione nel 1967 della Cooperativa del Cinema Indipendente, modellatasi sulla Filmmaker’s Coop di Jonas Mekas che, fin dal 1961, viene spesso in Italia a far conoscere i capolavori del New American Cinema, prima a Spoleto, poi a Porretta Terme, Pesaro, Torino e quindi Roma, in luoghi come il Filmstudio, cineclub che apre nello stesso 1967 e che diventa il luogo privilegiato della scena dell’underground italiano e internazionale. […] Il passaggio dalla pellicola al videotape è sicuramente una delle novità che segna il nuovo decennio [gli anni ’70]. Diversi artisti cominciano a utilizzare il medium elettronico affiancandolo (o sostituendolo) alla macchina da presa. Se, dunque, è vero che Roma è una città chiave per le vicende del cinema d’artista, nei primi anni ’70 la diffusione della nascente “videoart” si concentra soprattutto a nord. […] Il grande cambiamento avvenuto negli anni ’90 è dato dal graduale passaggio dall’hardware analogico al software digitale, che ha comportato la diffusione delle tecnologie, non più costose macchine (come quelle prodotte dalla Quantel, come il Paintbox) appannaggio di poche società, ma sistemi più “leggeri” ed economici alla portata di tutti, dal montaggio agli effetti che hanno consentito anche ad artisti giovani di realizzare sofisticati lavori con le immagini in movimento.

[…] La scrittura del cinema non-narrativo, realizzato da cineasti e artisti e/o da artisti-cineasti, è una scrittura “instabile”, dall’incerta ontologia, le cui immagini si dissolvono nella grana della pellicola. Sono immagini fragili, tremolanti, lampeggianti, sovresposte o sottoesposte o frutto di esposizioni multiple, immagini che affiorano dall’emulsione e ad essa ritornano, decomponendosi irrimediabilmente, nel colore e nella luce. 
La stessa fruizione di questo cinema non può che essere decentrata, disattendendo qualunque codice Di fronte ad esso è necessario adottare una visione asimmetrica, guardare con la coda dell’occhio, laddove la “coda” non è solo una metafora che indica una modalità di sguardo laterale e periferico (fissarsi su dettagli, cogliere qualcosa che non appare con evidenza, proprio perché non siamo guidati – e obbligati – da una narrazione) ma anche il supporto materiale della pellicola. Tutto ciò vale anche per il video. Se i dispositivi degli albori presentano un’immagine effimera, a bassa risoluzione, che si dissolve quando la videocamera si produce in un movimento di macchina – un’immagine, dunque, non meno gassosa della pellicola, come indicato da Deleuze, eppure ancora corposa, materica perfino –, le odierne tecnologie (il Full HD, il 2K, il 4K) ci restituiscono una risoluzione quasi iperrealista della rappresentazione. Ma è solo un’apparenza, l’altra faccia di un’estetica, quella dell’obsolescenza, che comunque incombe su queste opere Non si tratta solo di un discorso che riguarda la preservazione e la conservazione delle opere […] ma è una considerazione che ha riflessi anche sulla cifra estetica. Gli artisti continuano tutt’oggi a fare i conti con il valore effimero dell’immagine

[…] Ciò che emerge, in conclusione, da una visione complessiva suddivisa in decenni di una produzione tanto vasta, è che, per quanto si possano individuare ed isolare delle caratteristiche proprie di un periodo storico, vi sono molte opere che non sarebbe pienamente possibile collocare in un decennio piuttosto che in un altro, se non – e non sempre – basandosi sulla risoluzione dell’immagine, sulla qualità dei supporti e sulla riconoscibilità dei dispositivi tecnologici. Ancora oggi, va sottolineato, vi sono artisti che ostinatamente lavorano in modo analogico, senza preoccuparsi di ciò che va di moda e di ciò che il pubblico, le gallerie e i collezionisti si aspettano. È un’inattualità o una “biodiversità” che vanno preservate e di cui una rassegna del genere deve tener conto.

[il testo è un estratto dall’introduzione alla rassegna, pubblicato nel catalogo edito da Manfredi Edizioni].

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La rassegna Doppio schermo. Film e video d’artista in Italia dagli anni 60 a oggi, sarà allestita nella videogallery del MAXXI, il cui ingresso è gratuito. La retrospettiva – curata da Bruno Di Marino e realizzata nell’ambito del ciclo Artapes a cura di Giulia Ferracci – è suddivisa in 4 programmi di 4 ore ciascuno replicato per due volte al giorno, secondo un approccio storico e diacronico; gli anni ’60 (19 settembre-3 ottobre); gli anni ’70 (3-17 ottobre); gli anni ’80 e ’90 (17-31 ottobre); dal 2000 a oggi (31 ottobre-9 novembre). Tra gli artisti selezionati: Adami, Ancarani, Angeli, Barba, Baruchello, Boetti, CaneCapovolto, Echaurren, Eshetu, Flatform, Gioli, La Pietra, MASBEDO, Mauri, Migliora, Nespolo, Ontani, Paladino, Patella, Sasso, Schifano, Superstudio, Toccafondo, Toti, Vaccari, Zapruder, ZimmerFrei. Ogni giovedì saranno proiettati dei lungometraggi. Il catalogo, edito da Manfredi Edizioni, inaugura la collana MAXXI Arte Collection – Focus Series, curata da Bartolomeo Pietromarchi e sarà presentato l’11 ottobre. A partire da questa data, sempre nella videogallery del MAXXI, si terranno inoltre (a partire dalle ore 18.00) Le storie del cinema d’artista. Gli artisti italiani e le immagini in movimento dagli anni ’60 a oggi. Dopo un inquadramento storico generale l’11 ottobre da parte di Bruno Di Marino (curatore del ciclo), il 20 ottobre Cristiana Perrella affronterà il tema della performance, il 3 novembre è la volta di Marco Bertozzi che parlerà del found-footage e, infine, il 14 dicembre Sandra Lischi terrà l’ultima lezione sulle interferenze tra il cinema e il video.

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