Mentre John Brennan, all’epoca numero due e oggi a capo della Cia, cerca di difendere i metodi utilizzati dopo l’11 settembre, lo scandalo relativo al report pubblicato dai Democratici del Senato Usa, sulle torture utilizzate dai servizi americani, rischia di allargarsi, comprensibilmente. Del resto non erano certo solo gli Stati uniti ad essere impegnati nelle guerre umanitarie. Ad essere sotto pressione da alcuni giorni è anche il governo britannico, per il coinvolgimento nel dossier delle torture compiute dalla Cia nella «guerra al terrorismo». La questione è la seguente: può essere che – a seguito di incontri tra le parti – siano state omesse le partecipazioni di agenti di Sua Maestà a torture effettuate da agenti della Cia? «Qualche agente britannico potrebbe essere stato a conoscenza di torture da parte di funzionari della Cia e potrebbero perfino essere stati presenti durante alcune pratiche come il waterboarding, ma un’inchiesta pubblica completa sarebbe una perdita di tempo», ha sentenziato l’ammiraglio Lord West, ex capo della sicurezza durante il governo laburista coinvolto eventualmente nelle torture.

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Eppure non tutti hanno le stesse sicurezze. Secondo quanto emerso da alcuni media britannici, Bbc e Guardian ad esempio, Downing Street – per la prima volta – avrebbe ammesso di essersi più volte confrontato con le autorità statunitensi, che avrebbero garantito a Londra, prima dell’uscita pubblica del documento, di cancellare riferimenti riguardanti il Regno unito sulla base di «ragioni di sicurezza nazionale». «Ma questa richiesta, ha spiegato un portavoce del governo, non mirava a coprire l’eventuale coinvolgimento degli agenti britannici nelle torture». Secondo il Guardian, dal 2009 i funzionari del governo di Londra hanno avuto 24 incontri con i membri della commissione del Senato Usa che lavoravano al dossier. Fra i partecipanti, c’erano il ministro degli Interni, Theresa May, il laburista Lord West (guarda il caso) e gli ambasciatori britannici a Washington.

E ieri il governo conservatore di David Cameron ha ammesso che l’intelligence ha avuto contatti con le controparti americane in merito al rapporto pubblicato dal Senato di Washington, ma un portavoce del premier ha precisato che «non è stata richiesta nessuna revisione del testo tale da rimuovere ogni accenno a presunti coinvolgimenti della Gran Bretagna in torture».

Eventuali cancellazioni «avrebbero potuto essere per motivi di sicurezza nazionale, come accadrebbe per qualsiasi altro rapporto». Dichiarazioni più che ambigue che difatti non convincono nessuno: non a caso dalle parti di Londra comincia a serpeggiare insistente la richiesta circa l’apertura di un’inchiesta per verificare eventuali responsabilità anche da parte di agenti dell’intelligence britannica, per appurare se ci sono state «vere e proprie torture esercitate dalla Cia negli interrogatori di presunti terroristi».

Il vice primo ministro Nick Clegg, leader dei partito liberaldemocratico, si è detto favorevole ad affidare un’inchiesta ad un giudice indipendente se la commissione intelligence del parlamento, che sta già esaminando il caso, non darà risposte sufficienti. Come negli Stati uniti per George Bush, così in Gran Bretagna per per Tony Blair la posizione è piuttosto delicata. E lo è anche per il partito laburista che era al governo con Blair all’epoca della guerra al terrore proclamata da George W. Bush.

Il leader laburista Ed Miliband ha difeso il fratello David, allora ministro degli esteri, dicendo che non avrebbe mai permesso ai britannici «di farsi coinvolgere in simili attività». Ma se Miliband non si è spinto fino a chiedere un’inchiesta, lo ha fatto il deputato laburista Paul Flynn. «È essenziale che vi sia una piena inchiesta affidata ad un giudice indipendente», ha detto, aggiungendo che «vi sono serie domande da porre a Tony Blair e David Miliband».