Il 25 giugno del 1973 si teneva alla galleria romana L’Attico di Fabio Sargentini il primo evento in Europa di Contact Improvisation. Il pubblico che frequentava questo spazio, dove erano di casa tante delle nuove avanguardie, poté vedere – e anche partecipare – a questa forma di danza che portava in sé gli utopici fermenti politici e sociali dei tardi anni Sessanta americani.
La Contact è una pratica di movimento in cui due o più persone sperimentano la condivisione del peso e dello spazio durante una danza in comune. Ciò che accade dipende quindi dal vicendevole cedere e accogliere il peso di una parte o dell’intero corpo dell’altro. Si tratta di improvvisare insieme movimenti in contatto. È una pratica che sviluppa la profonda percezione del movimento individuale, in particolare nel momento in cui il corpo perde l’allineamento del proprio asse verticale e, giocando con la gravità, sfrutta come leva le superfici di appoggio offerte dall’altro corpo, per sperimentare possibilità dinamiche fuori dall’ordinario. Si realizza così un accadimento estemporaneo, improvvisato seguendo la realtà fisica dello scambio di peso e sensibilmente consapevole nel momento stesso del suo accadere.

Se si pensa alla sua diffusione su scala mondiale e alle sue molteplici declinazioni, che esulano dall’ambito artistico statunitense dei primissimi anni Settanta in cui è nata, la Contact Improvisation ha continuato ad attrarre consensi, rimanendo una pratica versatile e attuale. Frutto dei mutamenti socioculturali che attraversavano l’America alla fine degli anni Sessanta, la Contact è una delle espressioni della controcultura del periodo, e ha dato vita a un modello egualitario e democratico di movimento, proponendosi come esempio di una comunità di individui antigerarchica e solidale. L’attenzione verso ciò che si costruisce con l’altro nel movimento, il rispetto per le differenze, la responsabilizzazione dell’intero gruppo per l’assenza di un leader unico, la mancanza di una stretta codificazione delle sue pratiche e l’attenzione alla sperimentazione piuttosto che agli esiti che essa può indurre, permettono lo sviluppo e l’utilizzo di questa forma di danza in contesti differenti.

Questo modo di approcciare la coscienza del proprio corpo e di quello dell’altro attraverso una sperimentazione tattile della relazione durante il movimento, integra spesso pratiche terapeutiche che intervengono su problemi psicologici e comportamentali (per esempio la psicologia transazionale). Ma la Contact è praticata anche da molte persone che, a livello più o meno amatoriale, scelgono di condividere un senso di comunità e appartenenza a un gruppo di «simili», dando vita ancora oggi a un fenomeno resistente all’omologazione sociale, in un contesto culturale e politico molto diverso da quello degli esordi.
Uno strumento indispensabile per entrare in contatto con le origini, gli sviluppi artistici e contestuali della Contact Improvisation negli Stati Uniti ci viene offerto da Contact Improvisation. Storia e tecnica di una danza contemporanea, scritto dall’antropologa Cynthia Novack, da poco disponibile nell’edizione italiana curata da Francesca Falcone e Patrizia Veroli per i tipi di Audino.

La studiosa americana, che aveva analizzato questa pratica «sul campo», cioè partecipandovi, metteva in evidenza che «nella contact i danzatori si concentrano sulle sensazioni fisiche del tatto, dell’appoggiarsi, del sostenere, del controbilanciare e del cadere con altre persone, portando dunque avanti un dialogo fisico». Questa disponibilità ad incontrare l’altro, la possibilità di affidare il proprio peso e di assumere la responsabilità di sostenere quello di un’altra persona guidandone il movimento, affascina i contacters, pronti ad avventurarsi alla scoperta di possibilità dinamiche irrealizzabili per chi lavora la corporeità mantenendo il controllo del proprio baricentro durante il movimento.

In origine Steve Paxton, l’iniziatore della Contact e il suo sperimentatore più autorevole, partendo da esperienze di improvvisazione del movimento in gruppo, si concentrò sulla ricerca e sul fare esperienza del contatto. In questo modo, l’elemento centrale della danza diventa la condizione fisica del tatto fra tutte le diverse superfici del corpo dei danzatori coinvolti. Paxton creò quindi nuovi modi di interrelazione durante le azioni dinamiche: l’incontro, spesso lo scontro e la caduta caratterizzavano i primi esperimenti. Nell’esigenza di uscire dai canoni noti del movimento di danza – di allontanarsi cioè dal balletto e dalle tecniche della danza moderna – egli utilizzò altre esperienze corporee per allargare la preparazione fisica del danzatore.

Il lavoro di partnering e le tecniche di rotolamento sul pavimento e sul corpo dell’avversario utilizzate nell’Aikido e in altre arti marziali asiatiche, hanno contribuito alla costruzione di un metodo di allenamento che rende più agile la sperimentazione. Con la diffusione della pratica e l’apporto di differenti maestri, anche altre tecniche somatiche hanno integrato i saperi del corpo che la Contact sollecita, e il focus del lavoro si è spostato sulla durata del flusso continuo del movimento in contatto.