Lo storico Emilio Gentile ricorda che la sciagura del Titanic divenne «il simbolo tragico del fallimento di una civiltà» perché interpretava alla perfezione speranze, illusioni e aspettative di un periodo, la Belle Époque; i cristiani lo videro come «un ammonimento divino contro la modernità», i socialisti la «metafora del capitalismo, con le sue inflessibili gerarchie sociali», ma per tutti rappresentò la sconfitta dell’essere umano sulle forze del destino e della natura, la vendetta del dio del mare che punisce la tracotanza dell’uomo, un titano del mare costruito dall’uomo che il mare affonda usando un titano di ghiaccio. «Sciagurati – scrisse Joseph Conrad che di mare se ne intendeva – non avete avuto misura, siete stati colpevoli di hybris di un arrogante follia».

Il transatlantico era un microcosmo dell’obsoleta società eduardiana e le stesse operazioni di salvataggio costruirono il pattern letterario e filmico della vicenda con le sue rigide distinzioni di classe, etniche e di genere. Affondò non solo una nave ma anche un modello di società e, forse proprio per questo, il Titanic è destinato a diventare un mito e la metafora delle fragilità del sogno prometeico. Il cinema non si lasciò sfuggire l’occasione e sfruttò immediatamente l’evento con una rapidità impensabile.

La Diva
Sul transtlantico «inaffondabile», oltre al bel mondo e al basso fondo della società, si era imbarcata nel 1912 anche l’attrice della Éclair Dorothy Gibson di ritorno da una vacanza in Europa. La Gibson, dopo lo scontro con l’iceberg, fu tra le prime a salire a bordo nella scialuppa numero sette (quella dei milionari) e venne salvata dal Carpathia. Sbarcata a New York, convinse Jules Brulatour, il produttore della Éclair, a mettere immediatamente in cantiere un film nel quale l’attrice-sopravvissuta, con gli stessi abiti che indossava sul Titanic la sera tragica, avrebbe interpretato una fiction-newsreel sul naufragio. Pochi giorni dopo la Gibson era già sul set: il 22 aprile, Saved from the Titanic, diretto da Étienne Arnaud, era pronto e venne inserito nel programma di Animated Weekly e distribuito nei cinema con grande battage pubblicitario il 14 maggio. La frase di lancio era «The entire world aghast at most stupendous of marine disasters», come si potesse definire «most stupendous» il tragico naufragio è difficile dirlo.

Il successo fu enorme, un vero sold out. Venne venduto in tutto il mondo.
Un redattore del Moving Picture News scrisse che il film dimostrava come si potesse trasformare tragedy into profit, la tragedia in profitto, e dolor into dollars, il dolore in dollari. Il New York Dramatic Mirror stigmatizzava come «rivoltante» il film «specialmente in questo momento in cui l’orrore dell’evento è ancora così fresco nella mente e che una giovane donna, da poco tornata con la sua brava madre al sicuro dopo momenti angoscianti, possa permettersi di commercializzare la fortuna ricevuta per grazia di Dio ».

Ovviamente, anche altri pensarono di trasformare i «dolori in dollari». L’enorme successo commerciale di Saved from the Titanic, indusse nel 1912 la Continental-Kunstfilm a produrre In Nacht und Eis diretto da Mime Misu, la Nordisk Films Et drama på havet di Eduard Schendler-Sørensen e nel 1913 Atlantis diretto da August Blom. La guerra fermò per un decennio la narrazione del naufragio, ma nel 1929 si riprende con Atlantic di Ewald A. Dupont tratto dalla commedia The Berg di Ernest Raymond, e in pieno conflitto mondiale la tragedia del Titanic venne usata anche per scopi di propaganda politica.

Nazisti
Nel 1941, Joseph Goebbels per i trent’anni dal naufragio decise di usare il Titanic per mostrare il cinismo, l’avidità e la viltà dei britannici e garantì alla Tobis-Filmkunst un budget esorbitante per l’epoca. Il film fu affidato alla direzione di Herbert Selpin, un regista che Robert Watson definisce «uno stravagante alcolizzato dall’enorme ego» e per sceneggiarlo fu scritturato Walter Zerlett-Olfenius, un fanatico nazista. Sul finire del ’41 le riprese hanno inizio, ma si prolungano a causa delle sempre più esorbitanti richieste di Selpin che dapprima fa costruire un enorme modello della nave e poi pretende una nave vera. La nave, e la citiamo perché avrà un destino davvero tragico, è la Cap Arcona costruita con grande lusso nel 1927 per emulare il Titanic. Agli inizi del maggio 1945, a pochi giorni dal suicidio di Hitler, la nave venne riempita di ebrei provenienti dal campo di sterminio di Neuengamme e di prigionieri di guerra. Venne fatta salpare e portata al largo con l’intenzione di farla affondare dagli aerei nemici (una specie di camera a gas marina…), come purtroppo avvenne per un errore della Raf: i pochi sopravvissuti al naufragio, arrivati a terra vennero mitragliati dalle SS. Un «Titanic-Holocaust» dal vero.

Selpin non si accontentò di avere la Cap Arcona, aveva bisogno di un gran numero di comparse. Goebbels lo accontentò e mandò sul set soldati della Wehrmacht, ma era sempre più infastidito dalle pretese del regista e inoltre Hitler insisteva perché il film venisse finito al più presto. La situazione precipitò il 15 maggio del 1942, quando, durante un litigio con Zerlett-Olfenius, Selpin gridò: «Tu e i tuoi soldati codardi e patetici della macchina da guerra nazista». Aveva superato il limite e l’aveva fatto con l’uomo sbagliato perché Zerlett-Olfenius non era solo uno sceneggiatore e un eroe di guerra, ma anche una spia incaricata dalla Gestapo di sorvegliare il regista. Goebbels convocò Selpin a Berlino e lo fece arrestare per alto tradimento; il 31 luglio il regista venne trovato impiccato nella sua cella, ufficialmente «si suicidò» usando le sue bretelle come cappio. La regia del film venne affidata a Werner Klingler che lo terminò nell’ottobre del ’42. Quando il 17 dicembre, Goebbels ebbe modo di vedere la copia finale si rese conto che era stato un grande errore produrre il film: un capitano che porta la sua nave ad affondare era una storia che poteva ingenerare nel pubblico pericolose similitudini con la Germania (la nave) e Hitler (il capitano) e bloccò l’uscita del Titanic che ebbe una isolata proiezione nel novembre del 1943 nella Parigi sotto occupazione nazista. Il 5 dicembre del 1944, il Reichsfilmintendanz proibì definitivamente la proiezione del film.

Nel dopoguerra Titanic fu proiettato in Unione Sovietica per le forti implicazioni anti capitaliste che la storia aveva. Il film si apre non a caso con una riunione degli azionisti della White Star Line, compagnia in procinto di fallire. Il presidente della società rivela però un segreto: il Titanic potrà infrangere il record di velocità e il successo dell’impresa farà aumentare il valore della azioni. Decidono così di vendere le azioni per poi riacquistarle a un prezzo più basso poco prima che tornino ad aumentare di valore allorché la notizia del record sarà diffusa. Bisogna quindi che il Titanic arrivi veloce a New York, molto veloce, e, come si sa, fin troppo. Se il cinismo del capitalismo e degli uomini d’affari britannici ha un ruolo dominante per tutto il film di Selpin, non c’è dubbio che anche tutti i «Titanic-film» mostrano altrettanto cinismo nello sfruttare economicamente (o propagandisticamente) il «most stupendous of marine disasters» della modernità. Non c’è da stupirsi: trasformare una tragedia in profitto (e il profitto in tragedia) è un vizio e un virus endemico del sistema e non c’è dubbio che presto assisteremo alla nascita di un nuovo genere cinematografico: il «Covid-film».