«Uniti si perde»: ha detto Bersani, suscitando scandalo tra le vestali accorate che invocano la ricomposizione del centrosinistra. Ma l’affermazione non solo è corretta, ma anche empiricamente verificabile. Come sanno tutti coloro che, in questi giorni, stanno analizzando le simulazioni sulla base dei sondaggi. Prima fra tutte quella, molto affidabile, di Ipsos, pubblicata dal Corriere della Sera. Capire perché Bersani ha ragione è anche un modo per spiegare il panico che si sta diffondendo tra le file del Pd e per interpretare la fase che si apre ora, quella in cui le varie forze mettono a punto la propria strategia per adattarsi alle nuove regole.

Com’è noto, la nuova legge prevede l’assegnazione di 231 seggi nei collegi uninominali e 386 seggi proporzionali. Ora, la domanda cruciale è la seguente: quanti sono i collegi veramente «contendibili», quelli cioè in cui la presenza o meno di una coalizione può determinare un esito diverso? Pochi: forse intorno ai sessanta, su 231. Ad esempio, in Lombardia Ipsos assegna 35 collegi su 38 al centrodestra: in quanti di questi, un’eventuale alleanza tra il Pd e la sinistra potrebbe cambiare le cose? Non abbiamo dati certi, ovviamente; ma basta guardare la geografia elettorale per comprendere come siano molto pochi, forse nessuno. E così pure, a parti rovesciate, in una regione come la Toscana. Ma, a questo punto, entrano in gioco considerazioni politiche: come reagirebbero gli elettori ad un’offerta elettorale che vedesse insieme il Pd e Mdp (assumendo che, in tal caso, ci sarebbe comunque una lista di sinistra fuori da questa alleanza)? È evidente che Mdp avrebbe tutto da perdere da questa «coalizione» (dando per scontato, ovviamente, la scarsissima credibilità delle basi politiche e programmatiche su cui potrebbe realizzarsi). È certo che una parte consistente dei suoi potenziali elettori non lo seguirebbe, e quindi Mdp sarebbe penalizzato anche nella quota proporzionale. Non solo: in tal caso, Mdp potrebbe entrare nella zona a «rischio-soglia», con il bel risultato di bruciare del tutto la propria rappresentanza proporzionale e regalare seggi al Pd. In cambio di cosa, poi? Di qualche seggio contrattato nei collegi? È evidente che si tratterebbe di un gioco a perdere.

Di tutto ciò il Pd non può accusare altri che se stesso: è sempre più evidente che questo sistema elettorale è una trappola mortale, in cui il Pd si è cacciato con le proprie mani. Secondo la citata simulazione Ipsos, il centrodestra, con il 35% dei voti, otterrebbe circa la metà dei collegi uninominali; e il Pd, più o meno, otterrebbe gli stessi seggi che avrebbe potuto ottenere con un sistema integralmente proporzionale. La totale irragionevolezza di questo sistema elettorale diviene sempre più evidente, man mano che emergono le sue implicazioni per il comportamento strategico degli attori politici.
«Uniti», quindi, non si vincerebbe; anzi, si incoraggerebbe un’ulteriore distacco e disorientamento di quell’elettorato di sinistra che mai e poi mai voterebbe per il Pd o per una lista alleata del Pd. Ed è davvero singolare il battage che alcuni, e alcuni gruppi editoriali stanno imbastendo sulle «divisioni» della sinistra: si continua a ragionare come se si votasse per l’elezione di un sindaco, o si votasse ancora con il Porcellum, quando «vince» chi prende un voto in più dell’avversario. Ma non è così: la prevalente quota di seggi proporzionali, da un lato, e la quota modesta di collegi realmente in bilico, fanno sì che, se le attuali intenzioni di voto saranno confermate dalle urne, nessuno in realtà potrà dirsi vincitore, quali che siano le coalizioni che si formeranno.

È del tutto evidente che la retorica di questi giorni, o l’affannosa ricerca di mediazioni, sono una pura chiacchiera. È bene che a sinistra si sia avviato finalmente il processo di costruzione della lista unitaria ed è auspicabile che possa essere quanto più possibile inclusivo, dando voce e rappresentanza ad una sinistra plurale. La fase che si apre è molto delicata: in particolare, sarà decisiva la qualità, la forza e il radicamento territoriale delle candidature, e conterà molto anche la loro dislocazione. È evidente, ad esempio, che, per i meccanismi della legge, saranno decisive candidature molto rappresentative e unificanti anche nei collegi uninominali, per il «traino» che ne potrà venire al voto sulla lista. E allora, tutti, a sinistra, dovrebbero mostrare umiltà e senso di responsabilità: anche perché solo un buon risultato elettorale potrà consentire che la successiva discussione politica si svolga in modo proficuo. Un buon risultato costituisce la premessa necessaria, anche se da sola non sufficiente, perché a sinistra si possa costruire qualcosa di nuovo e di solido, quali che siano le idee di ciascuno per il futuro.