Da qualche anno, nella musica di nuova produzione è sempre più difficile, ormai quasi impossibile, trovare la presenza di ragioni critiche. Quel poco di musica nuova che tuttavia nei nostri tempi s’incontra mostra una diffusa sudditanza al mercato e all’intrattenimento. Nozze felici tra produttori e consumatori se quel che esce è già best seller ancor prima di aver venduto una copia. Ciò a prescindere da tipologie di genere e/o stilistiche. Solo produzioni per quel po’ di pubblico detto «di nicchia» presentano qualcosa che a volte dà l’impressione di essere nutrito da ragioni critiche, ma per lo più è la distrazione di un attimo. Quanto al repertorio, si sa che è un insieme che l’abitudine a volte anche secolare degrada da ruoli di intervento a psico-godimenti. La cosa che vale non solo per Bach e Gounod, ma anche per i generi che al di là dei testi vivono di performance, le quali danno vita a «opere interpretative», a mood di genere che hanno uno stile nel presentarsi che solo in parte è musica e per il resto è moda.

La musica critica è quasi sparita, con la critica, come la critica. AngelicA nel suo 26° Maggio appena conclusosi, ha inserito un concerto del MEV, Musica Elettronica Viva, resuscitando dagli anni Sessanta e Settanta qualcosa che quasi non ha più richiesta, un aspetto della musica quasi abbandonato, ovvero l’improvvisazione. Anche nel jazz se ne parla ancora, occasionalmente e in generale a sproposito, confondendola col suonare sciolto per luoghi comuni.

Col MEV, sul palcoscenico del Sanleonardo c’erano tre signori ottuagenari, Alvin Curran, Frederic Rzewski e Richard Teitelbaum chiamati all’occasione a implementare la musica magrolina di Paoline Oliveros. Per la generalità del pubblico sono dei carneadi, salvo forse Rzewki per le sue variazioni su El Pueblo unido, ma gli altri due non accedono al minimo di popolarità. Al concerto c’era però una buona presenza «di nicchia».
Con loro l’improvvisazione è veramente tale, a iniziare dal quantum della partecipazione. Quello che di certo ha suonato di più è stato Curran con tastiere elettroniche; Rzewski s’è molto rilassato davanti al corpo del suo pianoforte a coda. Teitelbaum mai negli anni l’abbiamo visto davanti a una tastiera e lo ricordiamo ancora, nei Sessanta, intento a manipolare i comandi di un Moog che era un cubo nero di un 40 cm. di lato. L’ordine delle cose nasce per loro dalla spontaneità di lunghi percorsi svolti assieme: oggi sembra come depressa dal «surrealismo» della vita americana col sisma che ha eruttato Trump. C’è chi ride divertito dal suo comico modello, non Rzewski e Curran preoccupati perché «egli potrà comandare l’atomica». Ma la loro ragnatela di suono pensato continuerà, si spera, anche se i capitalisti e i loro politici volgari continueranno a minacciare il mondo.