La quasi sparizione della sinistra italiana, sancita dalle elezioni, provoca un comprensibile senso di vuoto e di smarrimento.

Non è detto però che il nuovo scenario abbia solo aspetti negativi.

I partiti e i ceti parlamentari «alla sinistra del Pd» sono arrivati a questo appuntamento elettorale sfibrati da dieci anni di fallimenti. Con questi risultati, non potranno più essere il perno di nuove iniziative. Il Pd si avvita in una crisi forse irreversibile.

Le elezioni lasciano quindi scoperto tutto il campo democratico-progressista, e questa può essere un’opportunità per tutti gli anti-liberisti.

In diversi paesi europei le sinistre anti-liberiste stanno superando i partiti socialisti, senz’altro la parte politica più in crisi del continente.

Visto il carattere quasi definitivo dei fallimenti della sinistra italiana c’è la necessità, e forse la possibilità, di costruire nel campo progressista una forza completamente nuova, con ambizioni maggioritarie. Questa possibilità però ha un vincolo molto preciso: una discontinuità non semplicemente forte, ma assoluta, con ciò che c’è stato prima.

Una nuova forza potrà avere grandi ambizioni (e queste elezioni dimostrano una volta di più che se non si hanno grandi ambizioni, non si hanno ambizioni) solo se sarà del tutto priva di vecchi volti politici, vecchi apparati, vecchie forme di negoziato e coalizione, vecchie parole d’ordine.

Non c’è bisogno di ulteriori dimostrazioni: nelle forme esistite finora agli elettori italiani non interessano né la sinistra né la sinistra radicale.

La frattura vecchio/nuovo vale attualmente dieci volte quella tra destra e sinistra: vince chi incarna questo principio, come i 5 Stelle nel 2013 e nel 2018 e Renzi nel 2014.

Com’è possibile, però, costruire una nuova forza capace di imporsi nel panorama attuale e porre fine alla giostra di cartelli, liste, nomi e simboli improvvisati a poche settimane dalle elezioni?

La seconda vittoria consecutiva del Movimento 5 Stelle in elezioni politiche dà indicazioni di lungo periodo.

Innanzitutto, l’Italia ha ancora una volta inventato una forma della politica. La più efficace, in Europa, tra le nuove invenzioni politiche. Capace perfino di quello che per un movimento populista è quasi un miracolo: sostituire il leader.

In secondo luogo, il suo successo ha confermato che siamo nella fase storica del campo populista. O si sta in questo campo o non si gioca.

Terzo, la costruzione del consenso va perseguita in modo quasi scientifico: muovendo dalla conoscenza capillare della società, dei suoi bisogni e delle sue rappresentazioni collettive (lavoro che, per i 5 Stelle, fa la Casaleggio Associati), traducendo le esigenze così individuate in pochissimi messaggi-forza, comunicati con iniziative adeguate ai contenuti (spettacolarizzate? Sì, anche spettacolarizzate).

Una campagna elettorale è una campagna elettorale, serve a raggiungere settori lontani dai propri circuiti di militanza, non può essere un discorso solipsistico fatto per il piacere di stare tra amici e compagni. E, per l’elettorato, un partito rappresenta fondamentalmente una sola cosa, che serve a posizionarlo nello spazio politico: Salvini è l’anti-immigrazione, il 5 Stelle è l’anti-classe politica. La sinistra cosa rappresenta?

Quarto, una forza di protesta o di alternativa deve avere un orizzonte globale in cui il suo discorso si inscrive. Anche il rafforzamento dell’ordine esistente e delle sue gerarchie costituisce un orizzonte globale (il più forte, perché il più tangibile). Oppure, una forza politica può evocare un ordine alternativo, quello che una volta si chiamava utopia.

Il 5 Stelle lo fa: la sua utopia è quella della democrazia e della società digitali, che questo partito considera già esistenti, perfette così come sono, solo da dispiegare pienamente. È un paradiso in terra, un’utopia ferma a cui la politica si deve adeguare. Accompagnata da una seconda utopia: la trasformazione globale del sistema politico.

Senza utopia e senza orizzonte non c’è azione politica possibile, soprattutto per le sinistre. Ma questo non bisognerebbe nemmeno ricordarlo, perché nel 1789 e nel secolo successivo le sinistre sono nate così: come prefigurazione utopistica del mondo nuovo, come profezia politica basata sulla società reale, su ciò che contiene ma non può sviluppare, sulle promesse che solleva e non può realizzare.

Si chiamava dialettica. Qual è oggi l’orizzonte utopistico della sinistra? È ancora il socialismo? E cosa significa, oggi, socialismo?

C’è un’analogia storica molto forte tra la fase storica attuale e quella della prima rivoluzione industriale, tra fine ‘700 e metà ‘800, l’epoca in cui la sinistra è nata.

La rivoluzione industriale distrusse la società dell’antico regime e la forma politica della monarchia assoluta. Fu una fase storica «antipolitica», in cui il bersaglio di movimenti e rivoluzioni erano le classi politiche, le autorità pubbliche, la forma stessa dello Stato.

Oggi, analogamente, la «rivoluzione digitale» sta distruggendo la democrazia parlamentare e rappresentativa, una forma politica non più adeguata ai rapporti sociali e alla vita materiale.

La forma di stato e di organizzazione politica che conosciamo non durerà molto.

Il Movimento 5 Stelle ha il suo modello alternativo: una forma politica modellata sul funzionamento e sugli interessi delle grandi imprese digitali.

Chi vuole costruire una forza di emancipazione all’altezza dei tempi deve giocare a questa altezza, ripensare la sua utopia, inventare il proprio modello alternativo, trovare un solo grande elemento simbolico su cui caratterizzarsi e parlare del mondo che può venire, non di quello che finisce.