«Da noi in Grecia si dice che se la mucca non mangia non produce latte». Usa questa metafora Vassilis Primikilis per spiegare perché, secondo lui, l’accordo capestro imposto alla Grecia non funzionerà, in ogni caso. «Abbiamo il 30 per cento di disoccupati e tre milioni di persone su undici al di sotto della soglia di povertà, e ci costringono a ulteriori tagli e tasse, senza nessuna politica di rilancio economico che ci permetterebbe di riprenderci. Finirà che a un certo punto la gente comincerà a non pagare più e allora salterà tutto per aria», dice. Primikilis è uno dei leader della Piattaforma di sinistra, ha studiato in Italia al tempo del regime dei colonnelli ed è uno degli artefici, con l’ex segretario Alekos Alavanos, del passaggio dal Synaspismos a Syriza e del cambiamento generazionale che ha portato alla segreteria della Coalizione della sinistra radicale Alexis Tsipras. Ora è un autorevole esponente della minoranza interna che fa capo al ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis e che rappresenta poco più di un terzo del partito. Alla vigilia del voto sulle prime misure forzate imposte dall’Europa (Iva e pensioni su tutto), previsto per oggi in Parlamento, quattro chiacchiere con lui sono utili per sondare gli umori della componente più critica nei confronti dell’accordo.

Primikilis, la Piattaforma di sinistra voterà contro il suo governo?

Ci troviamo di fronte a un doppio no, che va in direzioni divergenti. Da una parte non vogliamo che il governo cada, perché sappiamo che è quello che la signora Merkel vuole. Dall’altro non possiamo votare per un accordo che consideriamo inaccettabile per il contenuto e soprattutto per una questione di democrazia, cosa che noi che abbiamo vissuto il regime dei colonnelli abbiamo particolarmente a cuore. Purtroppo Alexis (Tsipras, ndr) ha fatto la scelta, secondo me sbagliata, di accettare il piano europeo. Ora vedremo in che modo riusciremo a uscirne.

Dunque, alla fine oggi voterete contro?

Abbiamo deciso all’unanimità di dire no perché alla fine, a parte un accenno finale, nel testo non c’è nulla neppure sulla rinegoziazione del debito e mancano politiche di sviluppo. Come possiamo pagare 27 miliardi all’anno se non produciamo ricchezza? È questo il problema.

Si parla di rimpasto di governo o di un esecutivo tecnico, se Tsipras non dovesse avere i numeri.

Nella direzione del partito di oggi (ieri, ndr) abbiamo posto questo problema: il rischio è che stasera non ci sia più la maggioranza: il Memorandum ha stravolto pure la realtà politica, e questo fa parte del colpo di stato della troika. Hanno cercato di far cadere questo governo dal primo giorno, costringendolo a un accordo, firmato con la pistola puntata alla testa, che crea problemi nello stesso governo. Noi saremo in 35, ma è possibile che anche altre componenti della maggioranza di Syriza possano seguirci. Così, se il governo vorrà continuare, dovrà avere il sostegno di Nea Democratia. Tsipras ha detto che lui non vuole essere un nuovo Monti o Papadimos (primo ministro tecnico tra il 2011 e il 2012, ndr). Vedremo.

Indubbiamente il diktat dell’Eurosummit lacera le coscienze di qualsiasi militante di Syriza, che ha vinto sull’onda delle proteste contro i Memorandum. Il rovescio della medaglia è però l’asfissia finanziaria e il rischio che la gente possa perdere tutto.

Si tratta della stessa medicina che conosciamo da cinque anni. Ma il referendum dimostra quanto sia importante la questione della democrazia: nonostante i ricatti, il 62 per cento dei greci ha detto basta con il neoliberismo e l’austerità, e sarebbero stati molti di più se le banche non fossero state costrette a chiudere dalla Bce, che ha negato la liquidità agendo al di fuori del suo statuto.

Siete accusati di voler uscire dall’euro.

Abbiamo sempre detto che non è un problema di euro o dracma, perché la gente è povera o ricca con qualsiasi moneta, bensì di politiche. Credo che Alexis sia stato costretto a firmare un accordo con la pistola puntata alla tempia e che la signora Merkel abbia chiesto garanzie che questo fosse poi messo in pratica, anche con l’appoggio di forze politiche diverse. Ma io, di sinistra, non posso snaturare la mia identità fino al punto di votare per i licenziamenti collettivi.