Il Rossini Opera Festival di Pesaro arriva alla sua XXXIX edizione e al 150esimo anniversario della morte di Gioachino Rossini con un inusitato impegno produttivo, che prevede solo nuove produzioni per le opere in cartellone. L’apertura all’Adriatic Arena spetta a Ricciardo e Zoraide, che torna al ROF dopo 22 anni. Si tratta di un dramma serio per musica in 2 atti su libretto di Francesco Berio di Salsa, rappresentato per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 3 dicembre 1818. La direzione del giovanissimo Giacomo Sagripanti, alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, è solida, entusiasta, rispettosa del carattere bifronte della partitura, che mescola gli schemi tradizionali dell’opera italiana e innovazioni armoniche d’oltralpe, ma soprattutto capace di tenere insieme una compagnia di canto altrettanto varia: accanto al timbro e alla tecnica inarrivabili di Juan Diego Flórez, purtroppo quelli di Sergey Romanovsky finiscono per mostrare tutti i loro limiti in acuto; Pretty Yende esegue la parte correttamente ma manca di fraseggio e sfumature; Nicola Ulivieri spinge assai; Victoria Yarovaya manca di equilibrio tra emissione di petto e agilità; sorprendente Xabier Anduaga, benedetto da un timbro e da un volume rari. La messa in scena di Marshall Pynkoski soccombe senza scusanti a uno dei libretti più farraginosi mai messi in musica da Rossini.

Tocca poi ad Adina, che torna al ROF dopo 15 anni, al Teatro Rossini. Si tratta di una farsa in 1 atto su libretto di Gherardo Bevilacqua Aldobrandini, composta nel 1818 a Bologna, rappresentata per la prima volta al Teatro São Carlos di Lisbona il 12 giugno 1826 e subito uscita dal repertorio. Il giovanissimo Diego Matheuz, per la prima volta a Pesaro, dirige l’Orchestra Sinfonica G. Rossini con mano salda e grande brio, correndo agilmente attraverso una partitura di bottega apparentemente facile e allo stesso tempo cesellando con cura i numeri complessi composti da Rossini (Introduzione, Quartetto e Aria di Adina). Lisette Oropesa nella parte di Adina è deliziosa e di una pienezza a tratti abbagliante, Vito Priante è solido e convincente, Levy Sekgapane ancora un po’ acerbo. L’allestimento, coprodotto con il Wexford Festival Opera, ideato da Rosetta Cucchi, con Tiziano Santi alle scene, Claudia Pernigotti ai costumi e Daniele Naldi alle luci, è semplice e allo stesso tempo divertente, inventivo ed efficace nel risolvere alcuni bruschi passaggi del libretto.

La conclusione è affidata all’opera più famosa di Rossini, Il barbiere di Siviglia, all’Adriatic Arena. Commedia in 2 atti su libretto di Cesare Sterbini, che adattò Le barbier de Séville ou La précaution inutile di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1775), fu rappresentata per la prima volta al Teatro Argentina di Roma il 20 febbraio 1816. Purtroppo Yves Abel dirige l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI con poco senso dell’alternanza essenziale in Rossini tra momenti lirico-estatici e momenti dinamico-ginnici, staccando tempi costantemente dilatati, a discapito della vitalità ritmica che come un deus ex machina travolge e risolve le trame e i caratteri rossiniani.

Il Figaro di Davide Luciano  e il Conte di Maxim Mironov sono sublimi e perfettamente affiatati, la Rosina di Aya Wakizono, scenicamente convincente, sconta qualche vuoto nei suoni gravi; bravi anche Pietro Spagnoli  Michele Pertusi ed Elena Zilio. La messa in scena di Pier Luigi Pizzi, bianca come sempre, sacrifica a un insolito minimalismo il consueto gusto per feticci pop e camp, con cui forse Figaro sarebbe volentieri andato a nozze.